No all’invasione russa dell’Ucraina, no all’invio delle armi. Due parole d’ordine chiare e inequivocabili, come ha sempre fatto durante ogni conflitto il movimento per la pace.
Così è stato quando veniva contestata l’istallazione dei missili (Pershing e Cruise) a Comiso e contemporaneamente quella degli SS20, ben sintetizzato da uno degli slogan allora più diffusi “No alla NATO e al Patto di Varsavia”. Così è stato nei tanti, troppi, conflitti che si sono susseguiti e/o sono ancora in corso. Compresi quelli in Europa, come nel caso dell’ex Jugoslavia.
Eppure stavolta, per la maggior parte delle forze politiche e per una maggioranza che raggiunge in Parlamento oltre il 90% dei consensi, queste parole d’ordine non sono per nulla condivise. Per la quasi totalità dei mezzi di informazione si tratterebbe, addirittura, di scelte filo putiniane. Il movimento per la pace non solo non ci sta, ma contesta radicalmente la mancanza di coerenza nel governo e in questi commentatori.
Non ci sta e scrive nei propri volantini “Ci disgusta Putin e ci fa orrore questa guerra fratricida. Ci ripugna il Presidente Biden che spinge l’Unione Europea e la Nato sull’orlo di un conflitto mondiale atomico. Non crediamo alla ‘pace’ armata con aiuti militari. Siamo contro ogni guerra, nazionalismo, forma di imperialismo e frontiera. Pensiamo che la guerra sia sempre da ripudiare”.
Ma, soprattutto, non ritiene legittime le posizioni di chi solo di fronte all’invasione dell’Ucraina difende quell’indiscutibile diritto alla determinazione dei popoli di cui non ha mai tenuto conto nei conflitti in cui gli aggressori erano i Paesi della NATO.
Quando l’Italia fascista aggredì l’Etiopia (1935) la Società delle Nazioni deliberò un pacchetto di sanzioni (peraltro applicate con una certa dose di distrazione). Erano giuste le sanzioni? Sì, gli Etiopi avevano tutti i diritti di resistere? Sì. Ma anche in quel caso sembra frutto di un tragico umorismo che a comminare quelle sanzioni ci fossero anche i paesi che, precedentemente e in accordo, si erano spartiti il continente africano.
Fortunatamente, l’opinione pubblica italiana sembra molto più accorta di tanti intellettuali, o presunti tali. Una ampia maggioranza è infatti contraria all’invio delle armi in Ucraina (siamo, peraltro, sicuri che tale scelta non contraddica l’articolo 11 della Costituzione?), consapevole che se vuoi la pace, devi preparare la pace e imporre ai contendenti trattative vere, garantendo nel contempo aiuti e corridoi umanitari per rispondere, almeno parzialmente, a chi è costretto a fuggire dai propri territori.
Inviare armi e boicottare le trattative significa far proseguire la guerra, con tutti gli orrori che porta con sé. Orrori che nelle guerre contemporanee, per oltre il 90%, mietono vittime innanzitutto nella popolazione civile. I bambini assassinati, gli stupri, le bombe sui civili, la distruzione delle città non sono ‘patrimonio’ di questa ma di tutte le guerre. Vittime e danni ‘collaterali’ rappresentano, purtroppo, la ‘normalità’ di ogni conflitto. Per questo la nostra indignazione non deve retrocedere di un millimetro.
In Sicilia il movimento per la pace si è subito mobiliato perché nella nostra Isola “Il no alla guerra deve essere ancora più forte, per il ruolo che hanno le basi Usa e Nato, a partire da Sigonella, capitale dei droni; da Augusta, centro di rifornimento strategico delle navi da guerra e dei sommergibili nucleari; da Niscemi dove le antenne NRTF e il MUOS della Marina USA trasmettono gli ordini di morte in tutto il mondo”.
Dopo le manifestazioni a Niscemi e Sigonella, il Comitato No War di Catania allestirà in piazza Stesicoro, dal 20 aprile al primo maggio 2022, un gazebo informativo per discutere e confrontarsi e far crescere le ragioni della pace.
Ma anche per contestare le scelte del governo Draghi “che ha deciso di inviare armi in Ucraina e di innalzare le spese militari al 2% del PIL, dopo anni di crisi economica e di pandemia, anni di tagli alla spesa sanitaria, alla scuola pubblica, alla ricerca, ai trasporti. Questa guerra, decisa dai ‘potenti’ del mondo la pagano i popoli, che muoiono sotto le bombe o sono costretti a lasciare le proprie case per non essere arruolati a forza. La paghiamo tutte e tutti noi, quotidianamente, con i costanti aumenti di benzina, gas e generi di prima necessità”.
Contro tutte le guerre, le uniche armi sono la solidarietà e l’accoglienza, impariamo a utilizzarle verso tutte/i coloro che soffrono, al di là della provenienza e del colore della pelle. Solo così si costruisce la pace. Come diceva Sandro Pertini “Svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai”.