Naila Ayesh e Jamal Zakout, protagonisti della prima intifada palestinese a cavallo tra il 1987 e il 1988 erano personalmente presenti alla proiezione del docu-film “Naila and the Uprising” (Naila e la rivolta), proiettato al cinema King Domenica 20 marzo.
Questo potente documentario, che vede sulla scena, da giovani, gli stessi protagonisti presenti in sala, oggi sessantenni, ha messo in luce aspetti poco conosciuti della resistenza palestinese attraverso i volti delle donne e, osservazione non marginale, ha indirettamente mostrato come l’occupazione palestinese da parte del governo israeliano in questi ultimi decenni si sia gradatamente e notevolmente inasprita, quasi senza che ce ne accorgessimo.
Dopo una breve rievocazione dell’occupazione israeliana a seguito della guerra del 1967 (epoca in cui i nostri protagonisti erano appena bambini), il documentario racconta che nel 1987, Naila e Jamal, giovani sposi, a Gaza, allora non ancora “sigillata”, parteciparono alla sollevazione popolare, denominata “intifada”.
La protesta non fu particolarmente organizzata, ma sostanzialmente spontanea, e si estese a tutto il territorio palestinese, cogliendo di sorpresa le autorità israeliane. Le donne furono particolarmente attive attraverso numerose manifestazioni popolari. L’intifada fu caratterizzata dal lancio delle pietre e alcuni Palestinesi vennero uccisi durante gli scontri.
Comunque, la reazione più dura non si fece attendere. Naila fu arrestata e imprigionata, nonostante avesse da poco iniziato una gravidanza, stato che, dichiaratamente, non faceva alcuna differenza per la polizia israeliana. A causa della durezza della prigionia, senza alcuna assistenza e spesso lasciata al freddo e sotto la pioggia, Naila abortì e temette di non poter diventare madre in futuro.
Fortunatamente, una volta rilasciata, potè portare a termine una seconda gravidanza, dando alla luce un maschio, mentre continuava nel frattempo l’attività politica. Un giro di vite delle autorità israeliane portò nuovamente all’arresto di Naila, che dovette rassegnarsi a portare con sé il figlioletto in prigione, coccolato anche dalle altre detenute, mentre molti attivisti, tra cui il marito Jamal, erano stati deportati in Egitto.
In questa fase del movimento di resistenza palestinese, con l’assenza forzata di molti uomini perché imprigionati o deportati, e con l’OLP di Arafat trasferita a Tunisi, prese il sopravvento la mobilitazione femminile, che riuscì a organizzare vari movimenti e a riunirli in quella che fu chiamata “Direzione nazionale unificata”.
Il documentario integra scene animate con filmati di archivio, dimostrando così come le donne abbiano svolto un ruolo fondamentale nell’organizzazione politica e sociale della lotta. Negli anni successivi, all’inizio deli anni ’90, a capo di una delegazione palestinese, che discute accordi e possibilità di pace con il governo israeliano, c’è infatti una donna.
Si susseguono negoziati al più alto livello, a Madrid e a Washington, durante i quali l’amministrazione americana si mostra abbastanza comprensiva delle richieste dei Palestinesi. Tuttavia, a sorpresa, altri negoziati segreti con la mediazione norvegese vengono alla luce, scavalcando le iniziative già in fase avanzata. Si perviene così agli accordi di Oslo del 1993, con delegazione palestinese tutta maschile (e la presenza di Arafat), il cui risultato è molto inferiore a quello che le prime aspettative lasciavano intravedere, con grande delusione di tutte le donne che vi avevano fino ad allora lavorato.
La toccante vicenda di Naila e Jamal raccontata dal documentario è ormai al termine. Il loro figlio, oggi adulto, è un avvocato in Canada e i due coniugi continuano la resistenza contro l’apartheid israeliano. Naila è oggi direttrice del Women’s Affair Centre di Gaza.
Nel dibattito che è seguito alla proiezione, Naila ha sottolineato che la donna palestinese lotta oggi su due fronti, uno quello dei diritti umani dei Palestinesi, e l’altro, non meno importante, sul versante della parità di genere in una società palestinese ancora molto maschilista.
Jamal ha amaramente rimarcato che oltre 70 anni di occupazione israeliana e ingiustizie patite dai Palestinesi hanno destato meno attenzione di tre sole settimane di guerra in Ucraina. Ha ribadito che tutta la politica israeliana è unicamente volta a cacciare via i Palestinesi e infine, dando un giudizio politico sull’attuale crisi ucraina, ha affermato che l’Europa rischia di indebolirsi sempre più e di rimanere semplicemente suddita delle altre potenze.
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