Non parliamo di bruscolini ma di quasi 185,5 milioni di euro, la somma attribuita alla Città Metropolitana di Catania per i Piani Integrati del PNRR, parte di una più ampia e ambiziosa “strategia” del nostro Governo per l’ammodernamento del Paese.
In questa strategia gli enti locali ricoprono un ruolo centrale; dalle loro capacità di presentare e attuare i progetti dipende in buona parte il successo del Piano.
Per quanto riguarda la nostra Città Metropolitana, i progetti finanziabili, relativi ai Piani Integrati, possono essere solo tre, in quanto ognuno di essi non può essere inferiore a 50 milioni di euro. Devono riguardare il riuso e la rifunzionalizzazione ecosostenibile di aree pubbliche e di strutture edilizie per finalità di interesse pubblico, il miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale, economico e ambientale, ed interventi finalizzati a rivitalizzazione economica, trasporti e consumo energetico delle nostre città, da trasformare in smart cities (art.21 comma 6, decreto legge 152/2021 convertito con la legge 233/2021)
Parole impegnative e pesanti quindi: inclusione, riduzione dell’emarginazione, riuso, rinfunzionalizzazione, rivitalizzazione economica…
I soldi sono tanti, e per noi siciliani – convinti di avere molte idee ma non i fondi per realizzarle – si tratta di un importante banco di prova: dobbiamo provare a spendere bene questi soldi. Anzi, ancor prima, provare a non perderli.
Sembra facile, ma non lo è. I tempi sono stretti, strettissimi, perché la scadenza è slittata di soli cinque giorni, dal 17 al 21 marzo, con la conversione in legge del “decreto milleproroghe”.
I comuni denunciano la carenza di organico per fare i progetti e gestire i soldi del PNRR e solo da poco sono cominciate le assunzioni straordinarie a tempo determinato di personale non dirigenziale.
Non è tutto. Ci sono delle condizioni da rispettare. Ogni progetto deve avere un unico obiettivo di sviluppo per il territorio, da perseguire con interventi non frammentati ma coerenti e collegati tra loro. E’ prevista anche una pianificazione partecipata che non sembra all’ordine del giorno.
Lo scopo di queste condizioni sembra essere quello di evitare che le risorse vengano distribuite a pioggia o per favorire amici e clientele locali, senza realizzare cambiamenti significativi per lo sviluppo del territorio, come purtroppo accade di frequente nelle scelte delle nostre amministrazioni.
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Se scadenze e condizioni non fossero rispettate, il PNRR potrebbe trasformarsi nella pietra tombale delle speranze di un Mezzogiorno che dovrebbe ridurre le diseguaglianze rispetto alle regioni più forti e arrestare il declino demografico, compreso il drenaggio dei cervelli.
Entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire quali questioni di metodo e di merito sono in ballo.
La nostra Città Metropolitana è composta da 58 comuni, per un totale di poco più di un milione di abitanti, e – come le altre città metropolitane siciliane, subentrate alle Province sulla base di una legge regionale pasticciata – ha un sindaco metropolitano non eletto, coincidente con quello del capoluogo, perché considerato più rappresentativo sul piano politico e dotato di maggiori competenze amministrative.
Una scelta che, secondo una sentenza della Consulta (n.240 pubblicata il 9 dicembre scorso), determina una “forte ed ingiustificata disparità di trattamento” con i residenti negli altri Comuni e va sanata con una apposita legge che ancora non c’è.
In attesa di questa legge, in Sicilia il sindaco metropolitano rimane non eletto e quindi la carica mantiene aspetti di illegittimità.
Per di più, l’elezione del consiglio metropolitano, a cui spetterebbe l’indirizzo politico, è stata ancora una volta rinviata con una apposita “leggina” pre-natalizia (n.31 del 18 dicembre 2021). La stessa legge stabilisce che, in attesa delle elezioni dei consigli metropolitani, l’indirizzo politico sia svolto dalla conferenza metropolitana, costituita da tutti i sindaci della città metropolitana, che – per le sue decisioni – deve adottare un regolamento “ponderato”, che attribuisce più peso ai comuni con maggior numero di abitanti.
Del regolamento però non c’è neanche l’ombra e anche le convocazioni della conferenza metropolitana non sono state regolari.
Paradossalmente, la sospensione del sindaco Pogliese (in seguito alla condanna di primo grado e all’applicazione della legge Severino) e la conseguente nomina del commissario straordinario Portoghese, avrebbero dato piena legittimità alle convocazioni, che però non ci sono state, tranne le due preliminari (26 e 28 gennaio, quando c’era ancora il commissario ad acta Petralia).
La mancanza di regole chiare e democratiche – dalla mancata elezione degli organi della città metropolitana all’assenza del regolamento ‘ponderato’ – mette a rischio l’approvazione dei progetti che verranno presentati, un rischio grave visto che si deve decidere come utilizzare una notevole quantità di denaro, non solo quella di cui stiamo ragionando ma tutti gli altri fondi che continueranno ad arrivare, sia del PNRR sia dei Fondi strutturali europei.
Abbastanza “insolito” è anche il modo in cui 39 Comuni etnei, divenuti poi 37, hanno sottoscritto (lo scorso 24 febbraio) un Protocollo d’intesa per presentare un progetto per oltre 80 milioni di euro.
Il Protocollo è stato firmato dopo “varie riunioni tra la fine di dicembre 2021 e gli inizi di gennaio 2022”, come leggiamo nel testo. Riunioni informali, quindi, di cui non risultano date precise di convocazione né verbali.
In conclusione, nonostante le buone intenzioni dei sindaci dei comuni etnei, intenzionati a non perdere il finanziamento, sul piano del metodo non siamo messi bene.
Se poi vogliamo occuparci del merito, vale a dire della natura delle proposte avanzate dai singoli Comuni all’interno di quello che dovrebbe essere un progetto unico, gli interrogativi non mancano.
E’ stata rispettata la condizione di un comune obiettivo di sviluppo da perseguire con interventi tra loro coerenti e collegati? Gli interventi sono rispettosi degli strumenti urbanistici e tendono davvero a trasformare territori vulnerabili in città smart, sostenibili e senza consumo ulteriore di suolo?
Le proposte progettuali rintracciabili negli albi pretori on line dei Comuni che hanno sottoscritto il Protocollo, sono le più disparate.
Troviamo riqualificazioni, rigenerazioni, ristrutturazioni, efficentamento, recupero, restauro e manutenzione (quante definizioni…) di edifici pubblici, piazze, aree a verde, ville, strade e quartieri. Ma troviamo anche parcheggi e vie di fuga, prolungamento di strade e completamento di strutture sportive, e persino sostituzione delle lampade dell’illuminazione pubblica, impianti di video sorveglianza e di rilevamento del tasso d’inquinamento.
Sembra che ogni Comune abbia tirato fuori dal cassetto antichi progetti mai realizzati per mancanza di fondi disponibili. Assente la visione unificante, “il progetto”. Non dimentichiamo, infatti che il progetto dovrebbe essere unico, anche se composto da singoli interventi, tutti collegati tra loro.
Anche se, nel caso di alcuni Comuni troviamo sistemi di collegamento “dolce” e ciclopedonale, pensiline fotovoltaiche e altri interventi che rispondono al requisito della sostenibilità, si tratta sempre di interventi singoli, non collocati in un insieme unitario e coerente.
Quanto ai progetti di riqualificazione di fabbricati da adibire ad attività socio culturali, che non mancano, restano aperti gli interrogativi sulle risorse che saranno necessarie per la loro fruizione, con il rischio che si realizzino strutture che difficilmente verranno poi adoperate e non contribuiranno quindi allo sviluppo effettivo del territorio.
Pur con questi limiti i Comuni etnei sperano di ‘catturare’ la parte più consistente delle risorse previste per i Piani Integrati della nostra Città Metropolitana, gli altri 100 milioni restano disponibili per Catania e per i Comuni del Calatino, alle stesse condizioni e con le scadenze di cui abbiamo detto.
Ringraziamo Giuseppe Gullotta per il prezioso supporto nel reperimento della documentazione.
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