Gli storici discutono da decenni sulla relazione fra storia generale e storia individuale, fra macro e microstoria, senza spesso fare apprezzabili progressi.
Viceversa sembra offrire una risposta convincente un libro dell’editrice Neri Pozza che fa luce su un periodo non molto lontano della nostra storia, visto nell’ottica di una giovane donna che dalla Sicilia intraprende un percorso che la porterà lontano, fino alla Toscana, alla Normale di Pisa (Simona Lo Iacono, La tigre di Noto).
Nel racconto si intrecciano la formazione intellettuale e umana della protagonista, la sua scelta intellettuale, la sua carriera accademica, sempre nella prospettiva dei grandi eventi coevi e delle scelte che imposero a uomini e donne.
La ‘Tigre di Noto’ fin da subito appare come una protagonista apparentemente dimessa, marginale, che, progressivamente, mette in luce tutta la sua forza, la sua determinazione, il suo progetto di vita.
La contrapposizione alla sottomissione rancorosa della madre è, all’inizio, quasi impercettibile ma ben presto si rivela come adesione inflessibile ad una prospettiva originale e personale di vita e di lavoro. Scelta per niente semplice in un mondo dominato dalla cultura fascista.
L’argomento è intrigante e parte da una vicenda reale, l’uno e l’altro si intrecciano in un reciproco scambio di punti di vista che nel racconto definiscono tutta intera un’epoca.
Così la ragazza timida che di notte, quasi furtivamente, studiava le stelle con l’aiuto di una donna di servizio, a Pisa diventa una studiosa, riservata e solitaria, animata da una grande passione, che, nella Scuola semideserta, difende con coraggio i tesori della biblioteca della Normale senza mai abbandonare lo stile dimesso e silenzioso che la caratterizza.
E non si tratta di una studiosa che ignora ogni elemento di umanità perché è la stessa donna che, avendo avuto affidata una bambina durante un bombardamento, la cresce, la protegge, la cura con tutta la tenerezza e la dedizione di cui è capace. Anche la maternità sarà per lei una scelta forte, razionale ma non per questo meno vibrante di emozione.
L’Amore insomma è il grande protagonista del romanzo: l’ amore per la scienza, per la ricerca, per il proprio lavoro; ma anche un sentimento forte e silenzioso, un sentimento che resta inespresso ma è forte e consapevole, pudico e orgoglioso, come quello che la lega brevemente ad un docente della Normale, vittima ben presto della legislazione antiebraica. La guerra ed il Fascismo li separerà ma l’impronta del loro rapporto resta forte.
C’è poi il confronto, implicito, fra la sua terra d’origine, Noto, ed il vasto mondo di cui le apre le porte l’esperienza pisana, tutto giocato ancora una volta su silenziose relazioni in cui dal profondo delle coscienze emerge l’armonia del futuro, la forza di una donna coraggiosa e consapevole che cambia concretamente la sua realtà e, se si vuole, anche la solitudine cui sembra destinata, una personalità così forte e sicura, non per sua volontà ma per le conseguenze stesse delle sue scelte.
Insomma, anche dopo aver finito di leggere, dalle pagine del testo sembra echeggiare il “ruggito” di una tigre che ci ricorda con le sue vicende esistenziali, emblematiche e personalissime insieme, che la strada per l’emancipazione femminile è lunga, tutt’altro che conclusa, percorsa da viandanti di ogni condizione, segnata da gesti semplici, significativi, gesti vissuti con un approccio totalmente antieroico.
Nel nostro mondo, dove ha sempre più spazio l’ ‘eroismo’ di plastica a buon mercato, è un libro che fa riflettere.