Se Rita Paris, presidente della Associazione Bianchi Bandinelli, si dichiara pronta ad “organizzare una marcia verso la Sicilia per tutelare quello che è anche nostro”, un motivo ci sarà.
La Sicilia ospita, infatti, un ricchissimo patrimonio archeologico che rappresenta un bene di interesse non solo regionale ma nazionale, anzi internazionale. Un bene minacciato da gravi provvedimenti che l’Assemblea regionale si appresta a prendere, suscitando la reazione allarmata di uomini di cultura e di esperti, ma che lede gli interessi di tutti i cittadini.
Se ne è parlato mercoledì nel format “Mezz’ora con” dell’Associazione Memoria e Futuro, “I beni culturali in Sicilia: una questione nazionale”, in cui è intervenuto, oltre a Paris, anche Enrico Giannitrapani, presidente della CIA (Confederazione italiana archeologi) Sicilia.
I provvedimenti su cui si addensano i timori degli esperti e dei cittadini prevedono la rimodulazione degli assetti organizzativi di tutti i Dipartimenti regionali e quindi anche del Dipartimento dei Beni culturali e dell’identità siciliana. Una rimodulazione di cui una mozione presentata all’ARS dal PD denuncia l’illegittimità.
Verrebbero infatti ridotte le unità operative delle Soprintendenze e in ogni Soprintendenza sarebbero accorpate le competenze relative, da una parte, ai beni architettonici, storico-artistici, paesaggistici e demoetnoantropologici, dall’altra quelle riguardanti i beni archeologici, bibliografici e archivistici.
Con un provvedimento amministrativo verrebbe così disattesa la legge 80/77 che prevede l’articolazione in cinque sezioni, di cui una espressamente dedicata all’archelogia e della successiva legge n. 116, che disciplina l’amministrazione dei beni culturali in Sicilia.
La prima domanda che si pone è: il responsabile della nuova unità operativa ‘accorpata’ potrà svolgere il ruolo di tutela che gli compete? Sarà provvisto delle qualifiche professionali specialistiche relative alla tipologia di bene che deve tutelate?
Se così non fosse, si rischia di mettere in discussione il principio costituzionale di tutela e promozione del patrimonio culturale sancito dall’art.9 della Costituzione.
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Nè si può fare riferimento alla legge n.3 del 2016, che prevede “l’accorpamento per materie omogenee di strutture dirigenziali”. Nel nostro caso, infatti, non verrebbero accorpate postazioni dirigenziali ma incarichi di carattere squisitamente tecnico, con la conseguenza di un possible abbassamento del livello di tutela a causa dell’assenza di competenze specifiche. Tutto in nome di una razionalizzazione dei costi.
Come leggiamo nella mozione depositata al parlamento regionale, non si tratta di una novità ma di un “processo che va avanti da tempo e che ha prodotto il sistematico azzeramento delle specializzazioni professionali dei beni culturali, minando alle fondamenta il sistema regionale di tutela”.
Con il rischio ulteriore di un possibile danno erariale generato da richieste di risarcimento danni che potrebbero essere avanzate dagli esclusi che sono in possesso dei requisiti per svolgere le mansioni direttive specialistiche.
La situazione è paradossale perchè il personale altamente qualificato, nelle Soprintendenze, nei musei, nei parchi archeologici non manca. E’ stato assunto venti anni fa senza che gli fossero attribuite adeguate mansioni e le responsabilità di direzione che avrebbero avuto titolo a ricoprire, con la conseguenza che spesso i vincitori di concorso laureati e specializzati sono ancora subordinati al personale diplomato.
Nell’assetto attuale del Dipartimento Beni culturali si arriva al paradosso che, tra i direttori dei 14 Parchi archeologici, solo tre sono archeologi, e tra le Gallerie regionali d’arte solo una è diretta da una storica dell’arte. Quanto alla responsabilità delle sezioni archeologiche delle Soprintendenze e dei Musei regionali, essa non è affidata ad archeologi, così come le sezioni storico-artistiche e bibliografiche non sono affidate alla responsabilità dei professionisti rispettivamente competenti.
C’è quindi un problema di corretto inquadramento del personale specializzato ma soprattutto il rischio di una deriva che farebbe venir meno la necessaria tutela di beni di grande valore.
All’Ars è stata presentata anche una interpellanza in cui si chiede di “procedere alla immediata revoca delle disposizioni che prevedono l’accorpamento delle unità operative delle Soprintendenze regionali al fine di assicurare l’espletamento dei compiti istituzionali di tutela del patrimonio culturale prescritto dall’articolo 9 della Costituzione”.
Il rischio ravvisato dalla presidente della Associazione Bianchi Bandinelli è quello che, nello svuotamento dell’assetto normativo, si nasconda la mancanza di coraggio nel fronteggiare gli interessi privati che spesso insidiano la conservazione dei beni culturali.
Dietro le scelte dell’Assessorato, Paris individua anche una miopia che, puntando sull’interesse economico immediato, tralascia le opportunità che sarebbero offerte da una seria valorizzazione dei numerosi beni di cui l’isola è ricca, in grado di garantire uno sviluppo economico duraturo.
Anche Enrico Giannitrapani ha ricordato che la crisi del sistema dei Beni culturali non comincia adesso e ha citato la battaglia nata attorno alla cosiddetta Carta di Catania (di cui Argo ha parlato), che è stata bloccata anche grazie alla discesa in campo di varie associazioni.
Una pianificazione di interventi adeguati di tutela e valorizzazione sarebbe – a suo parere – particolarmente importante in questo momento in cui, con il PNRR e non solo, sono in arrivo consistenti fondi europei.
E in tutto questo, ha concluso Giannitrapani, la figura dell’archeologo, di cui l’art. 9 bis del Codice beni culturali definisce competenze e compiti, ha una funzione essenziale.