“Nessun sogno può condurre una carovana a destinazione, ma sono i sogni che mettono in moto le carovane”. Questa massima di un ignoto autore arabo, ricordata da Alfredo Petralia, direttore del dipartimento di biologia animale, ha chiuso nel modo più appropriato l’audizione dei promotori del Parco Monte Po – Vallone Acquicella con la commissione urbanistica del consiglio comunale.
Un sogno, la prospettiva di dotare Catania di qualcosa di più di un grande parco urbano che vada da Monte Po al mare e offra alla città bellezza paesaggistica, ricchezza e varietà di piante e animali, ritrovamenti archeologici e strutture militari risalenti alla seconda guerra mondiale.
Quello che si vuole realizzare è, infatti, un parco territoriale, inserito in un contesto fortemente urbanizzato ed afflitto da gravi carenze (emerse di recente in modo anche drammatico sotto forma di allagamenti ed incendi) che è necessario colmare, come ha spiegato ai consiglieri Filippo Gravagno, docente di tecnica e pianificazione urbanistica all’Università di Catania.
Si tratta soprattutto di un progetto che ambisce, e lo ha ribadito Pippo Rannisi, delegato LIPU e principale anima dell’iniziativa, ad una ricucitura urbanistica tra la città ‘storica’ e la sua periferia sud, oggi abbandonata, a cui darebbe dignità, servizi, spazi.
La creazione del Parco renderebbe questa periferia una meta ricercata per godere del contatto con la natura, passeggiare o praticare sport all’aperto, riscoprire la ricchezza del passato ellenistico, bizantino, medievale, di cui in quell’area si ritrovano varie tracce, citate, in sede di audizione, da Edoardo Tortorici, archeologo e ordinario di topografia antica all’Università di Catania.
Il senso di appartenenza che può nascere dalla valorizzazione delle bellezze naturali del Parco e della ricchezza di emergenze storiche e archeologiche in esso presenti indurrebbe i suoi fruitori, soprattutto quelli residenti nei quartieri limitrofi, a divenirne anche i ‘custodi’, ad averne ‘cura’, a sentirsene protagonisti, con una importante ricaduta sociale a cui ha fatto cenno Giusi Milazzo, segretaria del Sunia Sicilia.
Dell’area fanno parte anche tratti delle lave del 1669, che interessano – come ricordato da Petralia – anche il quartiere di san Cristoforo, abbandonato da decenni a se stesso.
C’è anche una particolarità di questo Parco, che è stata evidenziata da Salvatore Alecci, della Associazione Idrotecnica Italiana, e che lo renderebbe unico in Sicilia. Esso verrebbe creato attorno ad un corso di acqua perenne, oggi in buona parte artificializzato con rivestimenti in calcestruzzo oppure tombato, ma che può e deve essere rinaturalizzato con conseguente potenziamento del valore naturalistico e paesaggistico dell’area.
Il fascino del progetto parrebbe aver catturare l’attenzione della commissione urbanistica, che – per bocca del suo presidente Manfredi Zammataro e di altri consiglieri intervenuti – si è detta favorevole alla sua realizzazione e interessata a contribuire alla prosecuzione dell’iter.
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A questo punto le domande che si pongono sono relative alla sua concreta fattibilità, che richiede comunque un investimento di risorse umane ed economiche, che oggi sono a portata di mano più che in passato.
Non possiamo infatti dire che non ci sono soldi. I soldi ci sono e non solo quelli del PNRR, che pur prevede finanziamenti per progetti di questa natura.
Quanto alle risorse umane, alle competenze di cui oggi, dopo anni di mancate assunzioni, i Comuni sono carenti o addirittura privi, stanno arrivando bandi per assunzioni temporanee e non, finalizzate alla realizzazione di progetti, ma si apre anche la strada della progettazione partecipata e della creazione di Patti di Collaborazione fra associazioni ed Amministrazione, prospettati da Giuseppe Gullotta, nei confronti dei quali le associazioni che hanno aderito al progetto si sono dette disponibili.
L’urgenza di procedere è motivata dalla possibilità di cogliere le attuali opportunità di finanziamento ma anche dalla necessità di contrastare eventuali speculazioni edilizie che potrebbero essere effettuate in quell’area, per fortuna in parte tutelata, e di cui si vocifera.
I timori nascono anche dal fatto che l’attuale Amminsitrazione ha dimostrato, spesso, di essere poco attenta alla difesa del territorio, anche se a parole si è dichiarata propensa a privilegiarne la ‘cura’ piuttosto che favorirne lo sviluppo edilizio.
Una speranza è offerta dall’ampio coinvolgimento che il progetto del Parco Monte Po – Vallone Acquicella ha suscitato in esperti e appassionati sia delle associazioni locali sia della stessa Università, che può mettere in campo un patrimonio di competenze e la propria autorevolezza, da spendere anche per vincere resistenze e ostacoli che potrebbero emergere qualora fossero toccati interessi importanti.
Prima di pensare ai grandi parchi pensate alla monnezza che ogni giorno ci affligge. Pensate a tutte le strade dissestate. Pensate ai servizi pubblici che scarseggiano. Fate apparire ogni tanto qualche vigile urbano. Ecc ecc. Smettetela di sparare cazzate libere!!!!
Sogni ! Ormai il percorso è compromesso irrimediabilmente da quanto costruito attorno , molto abusivo e con ricchezza di scarichi fognari anch’essi abusivi a cielo aperto ! Sperare che da qua si arrivi a “ricucire “ qualcosa o fare degli abitanti custodi fieri è veramente esercizio intellettuale ozioso …
il manifestato interesse politico è campagna elettorale