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Schede bianche per la Presidenza della Repubblica, un paradosso tra i molti paradossi

Due terzi di schede bianche alla prima votazione, sarebbero state sufficienti per eleggere subito il nuovo Presidente. In effetti sono soltanto il segno tangibile delle difficoltà che attraversano tutte le forze politiche, una volta tramontata l’ “incredibile” candidatura, almeno a nostro avviso, di Silvio Berlusconi. Un esito per molti versi scontato, in un contesto caratterizzato da un governo “di tutti” che, in quanto tale, non esprime scelte politiche e strategiche condivise, ma risponde -forse e con risultati discutibili- all’emergenza che attraversa il Paese.

Su tutto questo, ma anche sul ruolo del Presidente della Repubblica, sulla posizione costituzionale e sui paradossi della carica, interviene, oggi, il costituzionalista Ettore Palazzolo.

Il settennato del Presidente Mattarella scade ai primi di febbraio. Assistiamo ad un’estrema incertezza quanto all’esito delle votazioni perchè non esiste una vera maggioranza politica (quella che sostiene il Governo Draghi è solo una maggioranza di unità nazionale).

I partiti non esistono più come tali e sono molto frazionati al proprio interno. Inoltre alcuni sono notevolmente delegittimati dai sondaggi, come la forza politica che gode della maggioranza relativa dei seggi, i 5stelle. Al contrario, un partito che prendeva poco più del 6% dei seggi, Fratelli d’Italia, appare accreditato intorno al 20% dai sondaggi, come pure il PD che appare nei sondaggi intorno al 22%, ma ha solo il 12% dei seggi.

Modalità di elezione.

In base alla nostra Costituzione il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune (Deputati e Senatori, compresi i senatori a vita), integrato da una rappresentanza regionale (3 per ogni Regione, ad eccezione della Valle d’Aosta che ne invia solo 1, per un totale di 58).

Il voto avviene a scrutinio segreto. Non è prevista quindi l’elezione diretta come nei regimi presidenziali. C’è quindi una rappresentatività, per così dire, di secondo grado.

Maggioranze richieste (quorum).

E’ richiesta la maggioranza dei 2/3 per le prime tre votazioni, mentre, a partire dalla quarta, quella assoluta. Il Collegio elettorale, fra Senatori, Deputati e Rappresentanti regionali, raggiunge il numero di 1009 componenti: la maggioranza è quindi di 505.

Durata del mandato.

La durata del mandato è di 7 anni, una delle più alte nell’ambito delle istituzioni repubblicane. Formalmente non c’è un espresso divieto di eleggibilità, ma quasi tutti i Presidenti hanno rifiutato questa possibilità, ad eccezione del penultimo, Giorgio Napolitano, il quale dopo una serie di votazioni che avevano bruciato più di un candidato, è stato pregato o costretto da tutti i partiti, pur essendo molto anziano, ad accettare la rielezione, rompendo così una tradizione protrattasi per oltre 60 anni.

Requisiti.

Per essere eletti Presidente della Repubblica occorre avere la cittadinanza italiana, avere compiuto cinquant’anni di età e godere dei diritti civili e politici. Inoltre è prevista l’incompatibilità con qualsiasi carica (pubblica o privata), nel qual caso il Presidente eletto, prima di accettare e giurare, dovrebbe dimettersi dalla carica ricoperta.

Poteri (formali ed effettivi).

La Costituzione negli artt. 87 e 88 contiene un lungo elenco di atti e poteri del Presidente. Sembrerebbe che goda di notevoli poteri, addirittura superiori a quelli del governo e del Presidente del Consiglio dei ministri. In realtà l’impressione viene subito ridimensionata dall’art. 89 nel quale si legge che tutti gli atti del Presidente devono essere controfirmati dal ministro proponente, che ne assume la responsabilità.

Il che significa che con riguardo a quasi tutti gli atti che portano la firma del Presidente della Repubblica (ad eccezione della nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzionali, nonché del potere di grazia, atti formalmente e sostanzialmente presidenziali), si tratta di una titolarità solo formale, in quanto la titolarità sostanziale, cioè il potere di decidere, è governativa.

Posizione costituzionale

E’ indubbio che quello del Presidente della Repubblica/Capo dello Stato/rappresentante dell’unità nazionale è un “Potere a se” distinto da tutti gli altri Poteri dello Stato, con compiti prevalentemente di garanzia e di controllo.

Il che non significa affatto che abbia un ruolo puramente notarile o arbitrale, oltre che onorifico: il suo compito primario, volendo riassumere, è quello di garantire l’equilibrio fra i Poteri (Parlamento, Governo, Magistratura e Corte costituzionale) così come disegnato dalla Carta costituzionale, oltre che di rappresentare l’unità nazionale, all’interno e all’estero.

Lo snodo cruciale è quello del rapporto con il Parlamento e quindi anche con il Governo, essendo quello delineato dalla nostra Carta un regime parlamentare: quindi la nomina del Governo, la firma degli atti più importanti del Governo, lo scioglimento anticipato delle Camere, la nomina di cinque senatori a vita.

Non va neppure sottaciuto il rapporto con la Magistratura e con la Giurisdizione, direttamente, presiedendo il CSM (Consiglio superiore della Magistratura) e, indirettamente, esercitando il potere di grazia, volto spesso a sanare gli eventuali errori giudiziari;  così pure quello con la Corte costituzionale, nominandone un terzo dei componenti (altro potere strettamente presidenziale).
Il rapporto con la classe politica (Parlamento e Governo) si caratterizza per la sua flessibilità: nei riguardi di un Parlamento con una maggioranza chiara e coesa, il ruolo del Presidente è poco più che notarile, laddove invece manchi una maggioranza definita e compatta, il ruolo del Presidente tende ad espandersi (il cosiddetto effetto fisarmonica): vedi la nomina di Governi tecnici o di Governi cosiddetti del Presidente (che, però, devono necessariamente ottenere la fiducia del Parlamento), ovvero lo scioglimento delle Camere, che non è un potere strettamente presidenziale, necessitando comunque del consenso (tramite l’apposizione della controfirma) del Presidente del consiglio e, indirettamente, delle forze politiche presenti in Parlamento.

La prassi dei vari presidenti.

Ovviamente i vari Presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 1948, da Einaudi a Mattarella hanno interpretato in maniera differente il ruolo di Capo dello Stato. Schematizzando si va da un ruolo più “notarile” di alcuni (Einaudi, in parte Saragat, Leone e Cossiga, nella prima parte del mandato) si arriva ad uno più “interventista” di Gronchi, Pertini, Cossiga nell’ultima parte del suo mandato, Scalfaro, in parte Ciampi, quindi Napolitano, fra tutti il più interventista e Mattarella, particolarmente nell’ultima parte del mandato.

I paradossi della carica.

Priva di potere politico in senso stretto, spettante, in base alla Costituzione, a Governo e Camere, la presidenza della Repubblica appare al contempo, una carica dotata di un altissimo tasso di politicità: vedi la nomina del Governo, l’accettazione delle sue dimissioni, lo scioglimento anticipato delle Camere, la presidenza del CSM, la nomina di 5 giudici costituzionali, il potere di messaggio, ecc. E’ questo è il primo dei paradossi della carica.

Da sottolineare che, con riguardo a tutti gli atti per i quali la firma del Presidente non costituisce esercizio di un potere strettamente presidenziale, essa rappresenta comunque uno strumento di controllo e garanzia nei riguardi degli atti del Governo (si veda, in più di un’occasione, il rifiuto di firmare Decreti-Legge di dubbia costituzionalità o anche non opportuni, ovvero di nominare titolare di un ministero importante e delicato una persona non rispondente a criteri di specchiata correttezza anche istituzionale, o anche dello stesso Parlamento, si veda il veto cosiddetto sospensivo, che costringe le Camere a riesaminare un progetto di legge già da esse approvato, prima della sua entrata in vigore).

Ovviamente regole di correttezza costituzionale impongono anche al Presidente della Repubblica una certa cautela, nell’esercizio dei suoi poteri, compresi quelli di garanzia: c’è sempre il rischio di provocare clamorosi conflitti, inducendo il Governo, o anche il Parlamento, a sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale.

Nei casi estremi (i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione) il Presidente della Repubblica può essere messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune e il giudizio sulle accuse spetterà alla Corte costituzionale.

Altro paradosso è che il Presidente della Repubblica viene eletto dai parlamentari e quindi dai partiti presenti in Parlamento (di fatto, una sommatoria di “parti”), ma deve rappresentare l’unità nazionale, quindi, sia pure nel loro complesso, i cittadini italiani, i quali, però, non hanno alcuna voce in capitolo in ordine a tale elezione.

Nasce qui la richiesta, in parte autentica e comprensibile, in parte strumentale e ideologica, di coinvolgere i cittadini nell’elezione del Presidente. Per essere chiari, la popolarità di cui hanno goduto alcuni presidenti, in quanto davvero considerati rappresentanti dell’unità nazionale, perché al di fuori e al di sopra dei partiti: Pertini, Ciampi e lo stesso Mattarella, ecc., hanno indotto molti a interrogarsi sull’opportunità di estendere a tutti i cittadini l’elettorato attivo del Capo dello Stato, con lo scopo anche di rafforzare il prestigio della carica.

E qui si manifesta il paradosso: un’eventuale elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale rischia di politicizzare e partitizzare ancora di più la carica e addirittura, potrebbe contribuire a trasformare, in qualche modo, la stessa forma di governo, da parlamentare in presidenziale. Così da un ruolo super partes e di garanzia, il Presidente della Repubblica acquisirebbe un ruolo pienamente politico e oltremodo di parte e divisivo (sarebbe un presidente eletto dopo una campagna elettorale combattuta, magari senza esclusione di colpi).

Ma anche a voler rimanere nell’alveo della forma parlamentare – senza che ciò possa costituire il primo passo per una trasformazione della forma di governo sul modello della V Repubblica francese, il cosiddetto semipresidenzialismo – un Presidente eletto a suffragio universale acquisirebbe inevitabilmente una notevole forza politica, E, in caso di conflitto con il Governo ed il Presidente del consiglio di ministri, nominati o comunque espressione di una maggioranza parlamentare, il Capo dello Stato potrebbe essere tentato a forzare i limiti costituzionali, con gravi rischi per l’equilibrio dei poteri tracciato nella Costituzione (il pericolo del “bonapartismo” è sempre possibile). Ecco perché, personalmente, non ritengo ciò auspicabile.

Il paradosso Draghi

E poi c’è il paradosso Draghi. Tutte o quasi le forze politiche lo ritengono il candidato ideale alla Presidenza della Repubblica. Ma, in tal caso, dovrebbe ovviamente lasciare il ruolo di Presidente del consiglio dei ministri, presentando immediatamente le dimissioni, forse anche prima dell’elezione, senza che, allo stato, possa individuarsi il suo successore, come pure la composizione, nell’incertezza poi delle forze politiche che dovrebbero sostenerlo.

Un Governo quasi fotocopia, quanto alla composizione, necessiterebbe di un Presidente del Consiglio sul quale, beninteso, occorre preliminarmente trovare un accordo fra le forze politiche, cosa non certo facile. In tal caso l’oggetto dell’accordo si sposterebbe dalla scelta del Presidente della Repubblica, alla individuazione di un Presidente del Consiglio e di un nuovo Esecutivo, su cui far convergere una maggioranza parlamentare, la quale, peraltro, non dovrebbe essere meno ampia di quella attuale. Compito, quest’ultimo, non meno arduo, per le forze politiche, particolarmente in questo frangente.

Un vero rebus. Ecco perché, al momento, alcuni partiti (e forze interne ai partiti) manifestano una comprensibile ritrosia nei riguardi di una candidatura Draghi al Quirinale, la quale aprirebbe notevoli problemi non solo in ordine alla persistenza del Governo in carica,  ma anche per la prosecuzione della legislatura, fino alla scadenza naturale (cosa paventata da gran parte dei parlamentari), anche se nessuna forza politica, ad eccezione, credo, di FdL, propone elezioni anticipate.

E’ questo lo stato dell’arte all’inizio delle prime votazioni.

Argo

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