Una sentenza d’appello che riforma in parte, ma in modo sostanziale, la sentenza di primo grado sulla cosiddetta ‘trattativa stato-mafia’, confermando di fatto solo la condanna ai boss mafiosi e assolvendo gli altri imputati che la sentenza di primo grado aveva riconosciuto colpevoli.
Una questione complessa e delicata sulla quale, nel format ‘Trenta minuti con’, l’Associazione Memoria e Futuro ha voluto fare un po’ di chiarezza con un’intervista ad Aaron Pettinari, condotta da Luca Gulisano.
Caporedattore di Antimafia 2000, Pettinari ha seguito tutte le udienze del processo, in cui agli imputati è stato contestato il reato di “minaccia e attentato a corpo politico dello Stato”. Cosa Nostra avrebbe cioè, con le stragi, condizionato, o tentato di condizionare, l’operato di tre governi, Amato, Ciampi e Berlusconi, per indurli a prendere decisioni e a fare leggi che andavano contro gli interessi dello Stato.
Mentre la sentenza di primo grado prevedeva pesanti condanne per tutti gli imputati, la sentenza di appello del 23 settembre scorso condanna solo Leoluca Bagarella e Antonio Cinà, accusato di essere il postino del ‘papello’ con le richieste di Cosa Nostra allo Stato. Assolti invece gli ufficiali dell’Arma Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, con la motivazione che ‘il fatto non costituisce reato’. Assolto anche l’ex senatore Marcello Dell’Utri per non aver commesso il fatto.
Non abbiamo ancora le motivazioni della sentenza e non siamo in grado di capire sulla base di quali ragionamenti la Corte abbia ritenuto di superare le valutazioni dei giudici di primo grado, ma – come spiega Pettinari – è già possibile individuare alcuni punti fermi, che una informazione approssimativa o poco corretta non ha evidenziato
Non è vero che, come alcuni organi di informazione hanno detto o fatto intendere, questa sentenza porti a negare l’esistenza della trattativa. Anzi, le formule utilizzate per le assoluzioni ci dicono esattamente il contrario.
L’assoluzione perché il fatto non costituisce reato, conferma che ‘il fatto’, cioè la trattativa, c’è stato ma non ha avuto rilevanza penale in quanto i giudici non hanno riconosciuto che, da parte dei carabinieri, ci fosse il dolo, cioè la consapevolezza di favorire Cosa Nostra. In caso contrario, la dicitura sarebbe stata ‘il fatto non sussiste’.
Il dialogo tra i carabinieri e il sindaco mafioso Vito Ciancimino c’è stato, tra la Strage di Capaci e quella di via d’Amelio, ma anche prima di Capaci, come confermano – ricorda Pettinari – prove documentali e testimonianze, tra cui quelle di Claudio Martelli e Liliana Ferraro.
“La sentenza di primo grado e la sentenza passata in giudicato della corte di Firenze conducono a ritenere che il dialogo con i Ros avesse convinto Cosa Nostra dell’efficacia delle minacce e delle stragi” dice Pettinari “Dalle motivazioni capiremo come la Corte abbia superato le conclusioni a cui erano arrivati gli altri processi”.
Dall’assoluzione di Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi, per non aver commesso il fatto, se ne ricaverebbe che la minaccia mafiosa sarebbe arrivata al governo Amato e a quello Ciampi, non a quello Berlusconi. Una conclusione che cozza con la sentenza del 2014 su Dell’Utri che riconosceva l’esistenza di un rapporto tra Berlusconi e la mafia dal 74 al 92 e condannava Dell’Utri, in via definitiva, per concorso esterno all’associazione mafiosa, per aver fatto da cinghia di trasmissione tra Cosa Nostra e Berlusconi.
Secondo la recente sentenza di appello, dal 92 al 94 questo rapporto non ci sarebbe stato, sebbene “Salvatore Cocuzza, collaboratore di giustizia, abbia dichiarato che questi rapporti erano durati anche successivamente”, ricorda Pettinari.
Anche in questo caso restiamo in attesa delle motivazioni della sentenza, ma non è detto che tutte le contraddizioni presenti in questa ingarbugliata vicenda, vengano adeguatamente chiarite.
La ricerca della verità deve continuare su tutti i piani, non solo sul piano giudiziario. Alla magistratura si può delegare solo la ricerca delle responsabilità penali, ma in questa vicenda ci sono anche responsabilità politiche, morali, civili da approfondire e su cui la società civile deve riflettere.
C’è infatti il rischio, conclude Pettinari, che intervenga una “operazione di rimozione” e che “questa sentenza finisca come quella su Andreotti, il cui reato é andato in prescrizione mentre tutti ritengono che sia stato assolto”.