C’era una volta, in via Di Prima, un edificio signorile che ora non c’è più. Siamo a San Berillo, l’edificio abbattutto era stato catalogato tra quelli ‘diruti’, per i quali la proposta di ‘Studio di dettaglio’ ammetteva la demolizione e riscostruzione.
Tutto regolare, allora? Proviamo a ragionarci.
Ricordiamo che la legge regionale n.13 del 2015 impone ai Comuni di realizzare uno ‘Studio di dettaglio delle tipologie edilizie del centro storico’, in cui tutti gli edifici del centro storico devono essere inseriti, assegnandoli – uno per uno – ad una categoria per la quale è ammesso un certo tipo di intervento.
Avevamo già osservato, che le maglie di questi possibili interventi si erano allargate e che, a San Berillo, il numero di edifici catalogati come diruti e quindi demolibili, era cresciuto da 2 a 41, mettendo a rischio la tutela delle costruzioni storiche e la difesa della omogeneità del contest
Lo Studio di dettaglio, ad oggi, non risulta approvato dal Consiglio Comunale, sebbene già in primavera fosse stata resa pubblica (dopo vari tentativi di limitarne la trasparenza), una versione da mettere a disposizione dei cittadini per eventuali osservazioni.
Le ossevazioni sono arrivate, autorevoli e dettagliate, e anche molto critiche. Sarà questo il motivo per cui lo “Studio” non è stato ancora portato all’approvazione del Consiglio?
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In attesa di questo passaggio, trattandosi di un provvedimento necessario, imposto per legge, le possibili demolizioni sembravano rinviate.
Ma l’iniziativa dei costruttori, agevolata da uffici comunali compiacenti, non poteva attendere. Ad agosto 2021 viene rilasciato dalla Direzione Urbanistica un permesso per costruire relativo ad una “ristrutturazione edilizia e ripristino filologico con adeguamento sismico ed efficientamento energetico” dell’edificio di via Di Prima n 38/42.
L’autorizzazione viene giustificata come necessaria a causa delle “precarie condizioni dell’edificio che rendono urgente l’intervento per questioni di sicurezza”. E questo ce lo aspettavamo, il pericolo di crollo giustifica tutto…
Quanto al “ripristino filologico”, ci chiediamo cosa ci sia di filologico in un progetto che prevede “modifica dell’area di sedime, della sagoma dei vari piani e rimodulazione del prospetto interno e dei volumi” dell’edificio. Ci sembra uno strano concetto di filologia.
E comunque non è accettabile che l’Urbanistica consenta l’abbattimento di un edificio storico in centro storico come se ignorasse che, in assenza di uno Studio generale delle tipologie, si applica il PRG vigente che, in centro storico, non consente alcuna demolizione.
Non è stata percorsa neanche l’altra strada che avrebbe permesso di dare legittimità all’intervento: la legge consente ai proprietari (in questo caso Locat, che fa capo alla famiglia Virlinzi) di presentare uno stralcio dello Studio qualora non sia stato approvato quello generale del centro storico.
Lo stralcio avrebbe dovuto comunque passare dal Consiglio comunale per l’approvazione, ma forse è proprio questo il passaggio che si voleva evitare. L’Urbanistica ha deciso di fare da sé e il suo direttore, Biagio Bisignani, ha firmato il permesso di costruire e quindi, innanzi tutto, di demolire.
La prospettiva che si apre è inquietante, ci fa temere uno stravolgimento prossimo venturo del centro storico. In particolare in un’area che conserva ancora, nonostante la presenza di molti edifici trascurati e anche abbandonati, una fisionomia compatta e caratteristica, che si potrebbe valorizzare nella sua unicità.
Con interventi singoli, sganciati da regole e vincoli, la salvaguardia del contesto va a farsi benedire.
A quanto pare, questo non interessa neanche la Soprintendenza che si limita ad avocare a sè il controllo su “dettagli e tipologia di coloritura degli intonaci”.
Di seguito, l’edificio in corso di demolizione. Ma l’immagine di apertura rivela l’assenza di “precarie condizioni” e, quindi, di “questioni di sicurezza”.
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