La collina di Monte Po nel parco che verrà, bellezza da scoprire e nodi da sciogliere

Un punto di vista unico sulla città, a 360 gradi, da una parte fino al mare e alla costa di Catania e Augusta, mentre dal’altra parte svetta l’Etna e lo sguardo si spinge verso la piana: è quello che si raggiunge salendo sulla collina di Monte Po.

I gabbiani volteggiano nel cielo, ma poco più in basso abbiamo visto una civetta tra gli arbusti e udito il richiamo di un gheppio che si alzava in volo, come ci ha spiegato il delegato Lipu. Su uno stelo sottile un beccamoschino si lascia dondolare e fugge al nostro approssimarsi.

Una immersione nella natura, in mezzo alla vegetazione, bassa e riarsa dal sole, che nasconde le fatte e le tane di volpi, conigli e altri animali selvatici, e tra le macchie verdi degli olivastri, dei terebinti, delle querce che costellano questo terreno sassoso e argilloso.

Un poco più in basso, le pareti tagliate delle cave ricordano un pesante intervento dell’uomo, bloccato perché rischiava di danneggiare in modo irreversibile queste colline, anche se continua l’oltraggio dell’abbandono dei rifiuti, amianto compreso.

Ricordano l’intervento umano anche i bunker dell’ultima guerra e i ruderi di costruzioni più o meno antiche, ormai quasi integrati nel paesaggio, che raccontano la storia di quest’area e della Sicilia intera.

Della storia recentissima del quartiere di Monte Po parla il campetto di calcio Nino Russo, che testimonia il lavoro di aggregazione dei giovani compiuto da Mani Tese in un quartiere difficile, ed il suo triste epilogo. Una storia di autodeterminazione e libertà dai condizionamenti politici, che Argo ha seguito da vicino.

Il gruppo che, sfidando la prima giornata di pioggia di fine estate, ha compiuto una sorta di esplorazione della parte alta di quello che potrebbe divenire il grande parco Monte Po – Vallone Acquicella, fa parte di coloro che questo parco lo vogliono davvero.

Non solo un sogno, un sogno di bellezza, quella bellezza che abbiamo a portata di mano e in gran parte nemmeno conosciamo, ma una necessità.

In una città povera di vegetazione un parco così grande basterebbe appena a compensare la continua edificazione e consentirebbe di avvicinarsi al rispetto degli standard di verde stabiliti per legge.

Ma il bisogno di spazi naturali aperti è avvertito, più o meno consapevolmente da tutti: i bambini e i giovani, che crescono lontani dall’esperienza diretta del rapporto con la natura e avrebbero bisogno di scoprirne il fascino e trarne lezioni di rispetto, pazienza, ascolto di suoni delicati e suggestivi; i meno giovani che possono trarne grande giovamento per la salute del corpo e dello spirito.

Eppure non è scontato che il progetto di questo parco si concretizzi, le domande aperte sono ancora tante.

Le questioni complesse, ad esempio, relative alla proprietà dei terreni, in parte privati, in parte della Chiesa e del Comune. Un groviglio su cui studiare e al quale cercare soluzioni.

E poi i dubbi sulla classe politica che ha dimostrato di non avere una politica ambientale, sugli amministratori locali che, al di là delle parole, si rivelano per lo più disinteressati al bene comune e concentrati sulla propria visibilità in vista di una futura rielezione.

E’ evidente, dall’altra parte, la necessità che ci sia maggiore coesione, determinazione e costanza di impegno da parte delle varie associazioni che hanno aderito al progetto.

E poi c’è la grande questione degli interessi che il recupero di un’area finora poco conosciuta potrebbe scatenare. ‘Fantastico questo luogo!’ perché non farci una bella speculazione edilizia, con il compiacente accordo (o silenzio, ma fa lo stesso) di quegli enti che, a vario titolo, dovrebbero tutelarla?

La bellezza, finora salvaguardata (spazzatura a parte) non rischia di essere sfregiata in modo radicale e permanente?

E’ il paradosso del rapporto di Catania con la natura. Se non ne conosciamo le bellezze, non impariamo ad apprezzarla e a goderne. Se vengono scoperte e conosciute si scatenano gli appetiti di speculatori privati e così la distruggiamo.

Il termine ‘valorizzare’ è divenuto sinonimo di sfruttamento a fini speculativi, con relativa perdita del bene comune. E non solo a Catania.

Eppure l’avventura della creazione del parco qualcuno vorrebbe tentarla, correndo il rischio di spenderci tempo e fatica che potrebbero risultare inutili. E passeggiate come questa, anche sotto la pioggia e con un cielo nuvoloso che rende i colori meno vividi, lo testimoniano.

Argo

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  • Ottimo articolo, in cui si mette in evidenza con lucidità di pensiero e coraggio i mali che affliggono da sempre la nostra città e la Sicilia; mali a cui la mancanza di coesione tra cittadini, associazioni, Enti locali ed organi della Pubblica amministrazione non riescono ad ovviare, a danno del depauperamento delle risorse ambientali e paesaggistiche, che potrebbero essere esse stesse volano di crescita economica.

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