E’ passato quasi sotto silenzio, salvo che nei giornali nazionali, la scomparsa di Emanuele Macaluso, uno dei massimi esponenti del PCI in Sicilia. Lo ricordiamo oggi con questa nota di Ettore Palazzolo.
E’ morto nel gennaio scorso, a quasi 97 anni, Emanuele Macaluso, proprio nell’anno del centenario della fondazione di quel partito con cui, per circa cinquant’anni, la sua vita si è identificata, nel bene e nel male.
Non meno importante il suo coinvolgimento con la CGIL, nella quale aveva infatti iniziato la sua militanza come sindacalista dei minatori del nisseno.
Qualsiasi scelta presa dal PCI, dalla battaglia antifascista, a quella per l’autonomia regionale siciliana, lo vede protagonista. Ricordiamo fra l’altro, la legge-stralcio di riforma agraria del 1950, e soprattutto l’operazione Milazzo che ebbe Macaluso fra i più importanti ispiratori.
Una identificazione con il Partito, marcata tuttavia da taluni indubbi elementi di eterodossia, soprattutto sul piano del costume individuale – giovanissimo era andato a vivere con una donna sposata e per questo venne apertamente riprovato dal Partito – come su quello prettamente politico.
A partire dalla metà degli anni ottanta fece parte, all’interno del Partito comunista, della corrente “migliorista”, parzialmente critica nei riguardi della linea della maggioranza Berlinguer-Occhetto.
Quest’orientamento auspicava un avvicinamento al Partito socialista, al tempo caratterizzato dalla forte leadership di Bettino Craxi, probabilmente sottovalutando la vischiosità del sistema di potere democristiano che, proprio in quel periodo – seconda metà degli anni ottanta, a ridosso dello scandalo della P2 – si andava ristrutturando nel CAF (Andreotti, Craxi e Forlani).
Bastò questo per tacciare di opportunismo di destra e di filo-craxismo l’intera corrente migliorista.
Non è possibile comunque considerare Macaluso un capo corrente, neppure nel PCI siciliano. In realtà fu molto di più. Anche se vi furono alcuni esponenti del PCI e poi del Pds che, in nome del “migliorismo”, teorizzeranno l’impossibilità di effettuare l’analisi del sangue alle imprese in odore di mafia, o comunque giustificheranno la pratica di un esteso “consociativismo spartitorio” all’ARS e nelle altre assemblee elettive.
Macaluso era ostile al movimentismo fin dagli anni cinquanta, in questo molto togliattiano – ricordiamo il detto irridente “piazze piene e urne vuote”, ma anche ai movimenti non controllati dai partiti. Sono note le polemiche del PCI siciliano contro le prime iniziative di Danilo Dolci, basate sul coinvolgimento “dal basso” dei cittadini.
E fu proprio dei “miglioristi” (con l’autorevole e significativa eccezione di Pio La Torre) la presa di distanza dai movimenti antimafia, pacifisti e ambientalisti, che si svilupperanno soprattutto a partire dagli anni ottanta e novanta del novecento.
Anche in nome di questa linea Macaluso fu critico sulla scelta del PCI di appoggiare le prime giunte Orlando al Comune di Palermo e, in generale sulla linea politica che tale scelta sottintendeva.
Aderì alla svolta della Bolognina di Occhetto ed al cambio del nome del Partito. Si iscrisse al Pds. Ma si mostrò molto critico sugli sviluppi di quella svolta, anche per lo spirito antisocialista che, a suo dire, l’avrebbe caratterizzato. Non aderirà invece al partito democratico, mostrandosi molto scettico sull’operazione che l’aveva posto in essere.
Macaluso, com’è noto, è stato apertamente ostile alle formazioni neo-populiste, alcune con venature di sinistra, quale Italia dei valori e soprattutto il Movimento 5 Stelle, anche in nome di un garantismo, a differenza di altri, non certamente peloso, che lo portava, sulla linea dell’ultimo Sciascia, a distinguere nettamente le responsabilità politiche da quelle penali, nonostante la evidente difficoltà a tracciare una netta linea di confine.
Non lo si può certo definire un intellettuale. Era quasi un autodidatta – aveva preso un diploma di perito minerario – e tuttavia gli si deve certamente riconoscere una notevole capacità di analisi e di visione critica della realtà. Lo testimoniano le diecine di saggi e le centinaia di articoli pubblicati nei vari giornali e riviste cui collaborava.
Negli anni ottanta era stato direttore del quotidiano del PCI, l’Unità. Più recentemente aveva promosso e diretto una nuova serie della storica rivista: “Le Ragioni del Socialismo”. Fino agli ultimi giorni della sua vita gli piaceva scrivere articoli, rilasciare interviste, polemizzare, utilizzando anche FaceBook, pur non sapendo usare il computer…. Da questo punto di vista, era certamente un combattente a tutto tondo.
Quello che di certo non è possibile, è attribuirgli, nella sua lunga carriera politica, alcun interesse personale. Non ricoprì – a parte quelle elettive, all’ARS, alla Camera o al Senato – nessuna carica pubblica di governo (assessorati, ministeri, ecc.) e neanche di sottogoverno. Le uniche cariche che ricoprì erano quelle di partito, dove già all’inizio degli anni sessanta del novecento, Togliatti lo volle alla Segreteria nazionale. Nessun arricchimento personale (a differenza, probabilmente, di alcuni più “sinistri” di lui). Viveva ultimamente in un piccolo appartamento nel quartiere Testaccio a Roma, pieno zeppo di libri.
Comunque si voglia giudicare i suoi singoli atti o la sua linea politica complessiva è innegabile che, rispetto a tanti altri esponenti contemporanei, la figura di Emanuele Macaluso emerge sicuramente come quella di un gigante della politica in Sicilia.