Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Palermo, tra i fondatori dell’Associazione Diritti e Frontiere, ragiona sulla sentenza di proscioglimento del Senatore Salvini sul caso Gregoretti. Pur invitando alla lettura dell’articolo integrale, proviamo a mettere in luce le questioni fondamentali.
In primo luogo, va notato che i giudici catanesi non hanno citato riferimenti normativi che avrebbero potuto mettere in discussione la tesi assolutoria.
In particolare l’art. 10 ter, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (introdotto con d.l. 17 febbraio 2017 n. 13, conv. in l. 13 aprile 2017 n. 46), esclude qualsiasi ipotesi di trattenimento dei naufraghi a bordo delle navi coinvolte in eventi di soccorso (SAR), ai quali viene garantito l’immediato trasferimento in appositi centri di accoglienza (Hotspot), per i rilievi foto-dattiloscopico e segnaletici, e per le eventuali richieste di protezione internazionale”.
Inoltre, l’articolo 83 del Codice della Navigazione, conferma la distinzione tra navi militari e naviglio commerciale, sancendo che “Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.
Una base testuale inattaccabile che lascia senza basi legali la ritardata indicazione di un POS da parte del Viminale, e non permette di avvicinare i casi Gregoretti ed Open Arms.
Malgrado la sentenza di proscioglimento con formula piena del giudice dell’udienza preliminare di Catania, si deve ancora considerare quanto affermato dal Tribunale dei ministri di Catania, “La decisione del ministro ha costituito esplicita violazione delle convenzioni internazionali in ordine alla modalità di accoglienza dei migranti soccorsi in mare e, al contempo, non sussistevano profili di ordine pubblico di interesse preminente e tali che giustificassero la protratta permanenza dei migranti a bordo della Gregoretti”.
Nel caso Gregoretti non era certo applicabile il Decreto sicurezza bis 14 giugno 2019 n.53 voluto da Salvini per dare una base legale al divieto di ingresso nelle acque
La ricostruzione della politica di governo in materia di migrazione e ricollocazione, ampiamente esposta nella sentenza di proscioglimento, sembra omettere passaggi fondamentali, come le reazioni europee al caso Diciotti, e la mancata partecipazione del senatore Salvini alla riunione dei ministri dell’interno dell’Unione Europea, tenutasi a Parigi il 21 luglio 2019, pochi giorni prima del caso Gregoretti.
In quella sede il Presidente francese Macron aveva affermato: “Dobbiamo rispettare le regole umanitarie e del diritto marittimo internazionale. Quando una nave lascia le acque della Libia e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare rifugio nel porto più vicino. È una necessità giuridica e pratica. Non si possono far correre rischi a donne e uomini in situazioni di vulnerabilità”.
Come ha fatto il Giudice dell’udienza preliminare di Catania a dare per buone le giustificazioni fornite dal senatore Salvini che ha motivato il ritardo dello sbarco dei naufraghi, trattenuti quattro giorni a bordo della Gregoretti, con le trattative avviate a livello europeo per la loro successiva ricollocazione in altri Stati ?
La Corte di Cassazione con la sentenza del 16/20 febbraio 2020 ha riaffermato il principio di gerarchia delle fonti anche rispetto ad atti di discrezionalità amministrativa posti in essere dal Ministro dell’interno. Le autorità politiche e di polizia di uno stato, a partire dal ministro dell’interno, non possono dunque ritenere derogabili le prescrizioni del diritto internazionale marittimo, in nome di un “superiore interesse nazionale alla difesa dei confini”.
La sentenza di proscioglimento del senatore Salvini sul caso Gregoretti cita la sentenza n.81 del 2015 della Corte Costituzionale, per distinguere l’atto politico insindacabile dalla giurisdizione, rispetto agli atti di amministrazione posti in essere da singoli ministri. Secondo la Corte Costituzionale,” gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto.
Per il GUP di Catania, tuttavia, “nel caso della Gregoretti, la necessità del sacrificio, ben più ridotto rispetto a quello del confinamento nelle navi – quarantena, era dettato dal bisogno della regolamentazione di un flusso migratorio immane, da un continente all’altro, con conseguenti problematiche inerenti alla tutela della sicurezza dello Stato e dell’ordine pubblico, che imponevano la redistribuzione, non gestibile da una sola Nazione”.
La conclusione che trae il Giudice dell’Udienza preliminare che ha prosciolto il senatore Salvini, sembrerebbe però escludere la natura politica degli atti a lui contestati, sostenuta dalla difesa, ma se ne afferma la legittimità e dunque l’assenza di qualsiasi rilevanza penale degli stessi, in quanto sarebbero stati conformi “alla cornice normativa in materia di migrazione, senza alcun debordamento dal perimetro precettivo imposto”. con il richiamo a “tavoli tecnici di coordinamento”, decisioni politiche europee, decreti ministeriali, norme di legge, Convenzioni internazionali e Regolamenti o Direttive europee. E’ la Corte di Cassazione che segna invece l’ordine gerarchico della normativa in materia di designazione del place of safety e degli sbarchi successivi.
Deve comunque prevalere il principio di legalità, non la logica o la linea della maggioranza politica.
Sembra dunque riuscito il tentativo della difesa del senatore Salvini che, nella prospettazione del giudice che lo ha prosciolto, avrebbe adempiuto in tempi ordinari atti conformi ai suoi doveri di ufficio, come se fossero state rimosse dal corso dei fatti le sue dichiarazioni e le sue scelte, esternate anche attraverso i social, nei giorni del fermo della nave Gregoretti fuori dai porti di Catania e di Siracusa.
Il richiamo alla sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale in ordine al riconoscimento delle garanzie stabilite dall’art.13 Cost. alle persone verso cui è in corso un respingimento o una espulsione, nei relativi casi di limitazione della libertà personale, può anche ritenersi ininfluente nel caso Gregoretti. Si dovrebbero piuttosto ricordare al riguardo le sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, 1° settembre 2015 e 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, ove s’è ritenuta la violazione da parte dell’Italia dell’art. 5, par. 1, CEDU (che consente la limitazione della libertà personale, per finalità di gestione del fenomeno migratorio, solo in presenza di base legale nel diritto interno) in ipotesi di trattenimento forzoso presso i centri di soccorso e di prima accoglienza (di cui all’art. 10ter t.u.).
Oltre alla limitazione della libertà personale (art.13) va considerata anche la libertà di circolazione (art.16) nelle diverse limitazioni che sono previste dalla legge riguardo alle persone migranti sbarcate a terra dopo essere state soccorse in mare.
La compressione della libertà di circolazione dei migranti, nello specifico caso della nave Gregoretti, sembra avvenuta in modalità non conformi a quanto previsto dalla legge, ed al riguardo non si possono invocare accordi di tavoli tecnici tenuti presso il ministero dell’interno, o tentativi di intese politiche a livello europeo