Con venti giorni di anticipo dovrà essere data alla Soprintendenza comunicazione formale della data di inizio dei lavori. La Soprintendenza potrà così predisporre quanto necessario perché le ‘eventuali’ attività di scavo vengano eseguite sotto la sorveglianza di propri funzionari.
Troviamo questa formulazione ripetuta in tutti i pareri rilasciati dalla Soprintendenza sulla ristrutturazione del Monte di Pietà, da trasformare in albergo.
Stupisce che si parli di ‘eventuali’ lavori di scavo, considerato che il parere riguarda non solo la ristrutturazione ma anche la realizzazione di un “parcheggio interrato pertinenziale”, per il quale lo scavo si presume sia inevitabile.
Comunque nessuna comunicazione di inizio lavori, relativa alla ristrutturazione dell’ex Monte di Pietà, risulta arrivata alla Soprintendenza di Catania, come ci conferma una funzionaria dell’ufficio.
Nonostante ci sia un cantiere aperto da anni, per l’ufficio di via Sturzo i lavori è come se non fossero mai iniziati. Nessuno dei funzionari, d’altra parte, è andato a verificare se, ai molti pareri, richiesti e rilasciati sin dal 2008, fosse seguita l’apertura di un cantiere.
Eppure si tratta di un edificio collocato in pieno centro, non in un’area marginale della città. E c’è una recinzione che lo circonda, con un cartello (per quanto slavato e illegibile) ed una gru ben visibile anche a distanza.
La ditta, ricevuto a più riprese un parere favoreole, non ha tenuto in nessun conto il fatto che fosse condizionato, quanto meno alla comunicazione della data di inizio lavori. Temeva forse la possibilità che si verificasse quanto prospettato nella comunicazione stessa? Cioè che “qualora nel corso dei lavori dovessero evidenziarsi situazioni di interesse archeologoco, questa U.O. interverrà secondo le leggi di tutela chiedendo anche in corso d’opera eventuali modifiche al progetto”.
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Meglio fare finta di nulla e sperare che non venisse operato alcun controllo, così come in effetti è stato. Nel frattempo lo scavo è stato fatto e l’eventuale danno al patrimonio archeologico già arrecato.
C’è un comprimario in questo colpevole silenzio omissivo, è il Comune. La Direzione Urbanistica conosceva bene il contenuto dei pareri rilasciati dalla Soprintendenza ed il carattere vincolante delle condizioni poste, ma non ne ha mai fatto cenno nei diversi permessi di costruire che ha concesso su questi lavori. Non ha imposto l’obbligo di comunicazione preventiva alla Soprintendenza né ha verificato, successivamente, che la comunicazione fosse avvenuta, cioè che fosse stata rispettata la prescrizione concernente l’alta sorveglianza di quell’ente.
Ne consegue, scive ancora Branciforti, che le modalità di scavo per ogni singolo settore dovranno essere concordate con la Soprintendenza, che dovrà seguire i lavori con proprio personale “per accertare la presenza di strutture o strati di interesse archeologico” e potrà imporre – come previsto dal Codice dei beni Culturali – l’esecuzione dello scavo senza l’uso di mezzi meccanici e “ogni altra prescrizione necessaria alla salvaguardia e tutela dei beni archeologici”.
Nei pareri successivi non troviamo più alcun riferimento né alla profondità dello scavo né alla eventualità di imporne l’esecuzione senza mezzi meccanici per tutelare eventuali ritrovamenti. In generale, la questione della tutela archeologica diventa sempre più marginale rispetto a quella del monumento, fin quasi a scomparire.
DOCUMENTI
L’area in cui sorge l’edificio, pur essendo di interesse archeologico, non è vincolata. Poteva la Soprintendenza, prima dell’inizio dei lavori, verificare che, proprio là dove il progetto prevede lo scavo, ci fosse qualche reperto da salvaguardare, in modo da porre dei vincoli specifici?
Sì, poteva farlo provvedendo a realizzare delle verifiche preventive che ormai, con gli strumenti attuali, si possono fare anche con TAC del terreno.
Sono saggi il cui costo, da anni, viene messo in conto dalle ditte, anche perché anche l’azienda titolare dei lavori trova più conveniente spendere per le verifiche preventive che rischiare il blocco dei lavori.
Nel caso in questione, trattandosi di lavori di ristrutturazione e trasformazione in albergo, c’è da tenere presente che la normativa regionale considera gli alberghi edifici di interesse pubblico (così come gli impianti sportivi o i supermercati), per i quali la verifica preventiva si impone.
Ha prevalso, invece, da parte dei funzionari della Soprintendenza, una sorta di ‘riguardo’ verso i privati, a cui si è ritenuto di non dover imporre la spesa supplementare delle verifiche preventive, che la Soprintendenza stessa avrebbe comunque potuto effettuare con fondi propri, vale a dire con soldi della Regione.
Tanto più che, in questo caso, non ci troviamo davanti ad un piccolo proprietario che potrebbe non avere le risorse necessarie, ma davanti ad una grossa società, la OIKOS spa, che ha avuto il capitale sufficiente per acquistare un edificio monumentale e progettarne la ristrutturazione.
Ci chiediamo quindi se, accanto alle responsabilità del proprietario, che non ha ottemperato all’obbligo di comunicare la data di inizio dei lavori, sfuggendo così ad ogni forma di controllo e di supervisione, non si possa ravvisare, da parte della stessa Soprintendenza, una omissione di tutela.
Quanto al Comune, dopo aver dato l’ok, in centro storico, ad un intervento di ristrutturazione edilizia non consentito dalle norme, in particolare su un edificio “monumentale” che lo stesso ufficio urbanistico esclude dalle ristrutturazioni, dimentica di intervenire a difesa del patrimonio archeologico cittadino.
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La città è stata consegnata ai nuovi barbari che sono calati da ogni dove, senza amore per i luoghi che vengono stravolti e devastati irrimediabilmente. Una volta leggevo sui cestini della spazzatura: " Catania è la tua città,rispettala e mantienila pulita". Mi chiedevo allora: e per chi non è la propria città? Intuivo che si sarebbe popolata da estranei e molti avrebbero anche abiurato le proprie origini pur di poter sbranare un pezzo di quella che fu " una città piena di storia e di bellezza.