Una macchia di verde che riempie una parete scoscesa, una vecchia mulattiera ripida, ancora percorribile, sia pure a fatica, l’acqua che scorre creando un’area umida con una flora e una fauna uniche, e i resti di opere idrauliche realizzate nel Seicento dai monaci benedettini: è la Timpa della Licatia, un tesoro di bellezze naturali e di manufatti, che è stato abbandonato a se stesso dalle istituzioni.
A due passi dall’abitato, ma poco conosciuta se non dagli intenditori, la Timpa è oggi è al centro dell’attenzione di associazioni, partiti e cittadini allarmati dall’avvio di interventi edilizi espansivi in un’area già tutelata ma non protetta da vincoli più stringenti.
Le denunce hanno sollecitato attività ispettive del Comune, una sospensione dei lavori in corso di attuazione da parte di uno dei proprietari (amministratore e legale rappresentante della Dusty), e la successiva ingiunzione di demolizione delle opere abusive.
Forse è prematuro cantare vittoria, ma è importante ribadire l’unicità di quest’area e fare crescere su di essa l’interesse dei cittadini.
Lo facciamo oggi con le parole di Giambattista Condorelli, ingegnere, cultore dell’Etna e di Catania, membro attivo del CAI, del FAI e di SiciliaAntica, di cui presiede la sede di Catania e che è all’avanguardia in questa battaglia di tutela della Timpa.
Dove la Via Leucatia termina e cambia nome, per condurre a S. Agata li Battiati, si trovano due emergenze che ambiscono entrambe al rango di unicità.
Si tratta dell’unica zona umida, nella quale ci si può introdurre, indossando stivali di gomma, dove regna la tipica flora degli acquitrini e dove si vede saltellare qualche uccellino e fuggire qualche animaletto, tra cui il granchio di fiume.
L’altro primato riguarda una mulattiera, ripida, ma perfettamente percorribile, antica chissà quanto, che, mentre ci guardiamo intorno osservando i palazzi in cemento armato che si scorgono in tutte le direzioni, ci testimonia di come si spostavano i contadini e i commercianti nei secoli che furono, con le merci caricate sui basti, posti d’ambo i lati, di muli tenuti per la cavezza.
Ma non basta: risalendo la mulattiera, si possono osservare, sul lato sinistro, i resti di antiche opere idrauliche, risalenti alla prima metà del Seicento, da cui si dipartiva l’acquedotto di cui esistono ancora undici arcate nello slargo dove, presumibilmente, si è lasciata l’autovettura.
Area umida e mulattiera sono entrambe demaniali, come si evince dalle carte catastali dei due Comuni di S. Agata li Battiati e di Catania i quali, quando si dovettero rendere ufficiali i confini comunali, forse nel 1817, non trovarono di meglio che utilizzare questa mulattiera, chiamandola, nella parte superiore, Via Leucatia Croce. Certamente c’era nel 1848, essendo ben disegnata in una carta topografica del tempo.
Però adesso, qualcuno vuole cancellare questi due primati, chiedendo la sdemanializzazione di mulattiera, sorgente e area umida ed ha cominciato ad appropriarsene collocando alle due estremità dei divieti di transito e guardie pubbliche giurate. Per fare cosa lo scopriremo fra qualche mese.
Ma torniamo ai rilevanti resti di opere murarie. Cosa sono?
Nel 1578 i monaci benedettini avevano potuto finalmente andare ad abitare nel nuovo monastero, costato 20 anni di lavori e sorto sulla collina della Cipriana (oggi Piazza Dante). Benché ancora incompleto, l’edificio sembrava una reggia anziché un monastero, e i monaci si resero conto che l’acqua che si poteva prelevare dal profondo pozzo – tutt’ora esistente e visibile – che raggiungeva la falda del Fiume Amenano, era insufficiente per le necessità del monastero, non foss’altro che per la ben nota variabilità della portata del fiume, che addirittura, talvolta e per alcuni anni consecutivi, si azzerava. Anche la raccolta dell’acqua piovana, mediante apposite cisterne, non contribuiva adeguatamente.
Per risolvere il problema in maniera radicale, i monaci acquistarono, nel 1593 e nel 1597, alcuni fondi sottostanti la ripida Timpa della Licatia, dove sgorgava una preziosa sorgente capace di 30 lt/sec. e sul ciglio del dirupo costruirono una casina di villeggiatura e convalescenziario che, rimaneggiata e ampliata, è oggi nota come Villa Papale.
Ma i monaci volevano ben di più di 30 lt/sec e intuivano che, scavando nel fianco della timpa delle profonde opere di captazione, si doveva poter prelevare molta più acqua, come in effetti avvenne.
I lavori furono commissionati dall’Abate benedettino Mauro Caprara, che, oltre a tali opere, fece costruire, tra il 1644 ed il 1649, un acquedotto lungo oltre 6 km, per portare il prezioso liquido sia al monastero, sia anche ai quartieri alti della città, donando acqua alla cittadinanza in cambio dell’impegno del Senato cittadino di provvedere alla manutenzione del manufatto.
L’acquedotto, che alimentava anche numerosi mulini, di cui il terzo ancora visibile all’interno del Parco Gioeni, rimase in funzione fino alla metà del ’900 quando, con l’aumentata estensione delle reti idriche realizzate da imprenditori privati (Casalotto, Carcaci del Fasano, Manganelli ecc…), non vi fu più necessità di servirsi di esso.
Degradarono così sia l’acquedotto, sia le opere di captazione e l’acqua tornò a scorrere, come avviene ancor oggi, con una portata non inferiore a 100 lt/sec, disperdendosi alla base della timpa, creando così la zona umida di cui si è detto.
Siamo di fronte, in definitiva, all’ennesimo tentativo di espropriare la comunità di un altro tesoretto, e, come al solito, è il patrimonio naturale ad essere preso di mira. E pensare che nel 1985 c’era stata una proposta di istituire un’area protetta denominata “Parco Canalicchio”, dizione che l’Editore Giannotta riportò in una carta stradale della città di Catania!
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Analogamente, si sta tentando di cancellare sotto il cemento di un Centro Direzionale, le lave di Cibali, una vasta area, di grande suggestione, tra le vie Generale Cantore ad Ovest e Martelli Castaldi ad Est, occupata da lave appartenenti a due eruzioni, una recente (1669) ed una più antica. Aspre nelle forme ma integre, riccamente colorate dai licheni gialli e arancio, rifugio di sfuggenti conigli, chi le percorre si dimentica di trovarsi alla periferia della città. Perderemo anche questa?
Per la Timpa della Licatia un’azione legale è già partita, da parte dell’Associazione SiciliAntica, ma la controparte si muove con destrezza e a grande velocità: occorre passare la voce e unire le forze. Ci riusciremo?
interessantissime notizie! e una Catania colpevolmente sconosciuta
Un vero tesoro!
Argo ed i suoi collaboratori meritano di essere premiati. Ma chiedo: dove sono le associazioni ambientaliste? dove riposa il WWF ? e Legambiente?e Italia Nostra dorme sogni dorati? e i tanti esperti in Ambiente ed ecologia dove fanni riposare le loro membra? E’ mai possibile che in una città tanto tormentata e distrutta come Catania debba essere solo Argo a sollevare il capo per denunciare i misfatti sull’ambiente?Le famose Lettere al direttore dell’unico quotidiano che abbiamo lasciano il tempo che trovano. Vengono lette e poi ignorate. E i politici, i tecnici , gli architetti , i cultori del tempo antico e delle vecchie pietre cosa fanno? Nulla. Non ci rimane che augurare lunga vita alla rivista Argo ed ai suoi collaboratori.