Il percorso di due bambini che passano “da un pensiero ad un altro”, liberandosi dei condizionamenti imposti dall’ambiente in cui sono nati, quello fascista degli anni trenta in un caso e quello paramafioso del quartiere di Ciaculli nell’altro.
Nino e Pietro sono i protagonisti di due libri scritti da Francesca La Mantia, vulcanica scrittrice, regista, sceneggiatrice e docente palermitana, che ha risposto alle domande di Antonio Ortoleva nella rubrica ‘Trenta minuti con’ di Memoria e Futuro.
Illustrati da Matteo Mancini e pubblicati da Gribaudo, i testi sono pensati per giovani lettori delle scuole elementari e medie, ma anche per ragazzi più grandi e, perché no, per gi adulti.
Non sono racconti banali e hanno la pretesa di contrastare il “falso storico” di cui, secondo La Mantia, siamo figli. Quello secondo cui “il fascismo ha tenuto la mafia in prigione e poi gli americani l’hanno liberata”, quello che disconosce che il ‘prefetto di ferro’ sia stato buttato fuori quando è divenuto scomodo o che ignora i sindacalisti e i politici invisi al fascismo che la mafia ha eliminato. E via discorrendo, perché così “ci piace raccontare”.
“Una divisa per Nino. Il fascismo narrato ai bambini” è ambientato nel 1935/36 durante la guerra d’Etiopia, quando il mito del coraggio e della guerra, la retorica dell’elmetto e della marcia, già presenti ancor prima dell’ascesa del regime, erano all’apice.
Nino ha un fratello volontario in guerra, una maestra che lo indottrina, conosce una sola verità, quella del contesto in cui vive, in cui tutti sono fascisti, “chi per convinzione, chi per paura, chi per opportunismo”, dice La Mantia.
Il bambino condivide il culto di Mussolini, sa che avrà la possibilità di incontrarlo. ma è tradito dalla propria sensibilità che gli fa vivere tutto intensamente, fino a farsi la pipì addosso per l’emozione. Gradualmente prende coscienza di come stanno davvero le cose, fino al rifiuto del regime e della violenza.
Anche Pietro, il protagonista de “La mia corsa. La mafia narrata ai bambini”, è segnato dal suo ambiente, quello del borgo di Ciaculli, dove impera la povertà, lo Stato è assente e c’è un “Santo” (storicamente il ‘papa’ Michele Greco) a cui chiedere favori. In questo ambiente paramafioso, in cui gli sbirri sono nemici, il bambino finisce in caserma alla ricerca del padre, arrestato per furto, e lì incontra Beppe Montana e conosce altri paladini della legalità, Ninni Cassarà, Roberto Antiochia, persino Rocco Chinnici, che diventano anch’essi protagonisti del racconto. E lui, che è bravo a correre, inizia il suo cammino in direzione antimafiosa.
La Mantia è stata in giro per molte scuole d’Italia e ha incontrato migliaia di bambini, li ha visti disponibili, interessati, pronti a identificarsi con i protagonisti delle due storie che sentono vicini a sé “perché sbagliano, sono un po’ imbranati, non sanno controllare l’emozione o la rabbia, vengono bocciati”, sono quindi come loro e con la stessa radicale semplicità sono pronti a riconoscere come sbagliate le cose che sono sbagliate, senza opporre ai fatti “la banalità del ‘se’, del però, del nonostante” con cui gli adulti, pur riconoscendo fascismo e mafia come un male, ripetono che “Mussolini ha fatto anche cose buone” e “la mafia però dà lavoro”.
Proprio gli attuali rigurgiti del fascismo, sottovalutati, hanno indotto La Mantia a scrivere questi libri, perché ritiene che sia, innanzi tutto, l’ignoranza ad alimentare questi fenomeni ‘nostalgici’ e che, appunto per questo, bisogna parlarne, con un linguaggio semplice e toni emozionanti per coinvolgere anche i più piccoli ma con grande attenzione alla verità storica, dopo aver fatto “ricerche di archivio, chiacchierate con i parenti delle persone coinvolte nelle stragi di mafia, passeggiate nei luoghi di quell’estate rovente del 1985”.
Che è poi l’anno di nascita della scrittrice, che sta già scrivendo un altro libro, che ha come protagonista una bambina.