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Parco Falcone, un bene comune tolto alla mafia e restituito alla città

Una concessionaria di auto là dove ora c’è un parco. Non una concessionaria qualunque e nemmeno un parco qualunque.

La Pam Car di Nitto Santapaola era un luogo simbolo del potere del boss e delle relazioni che, negli anni Settanta, egli intratteneva con la Catania che conta, comprese le autorità pubbliche, e proprio lì dove ora c’è un importante polmone verde cittadino si esponevano le auto usate, in una struttura abusiva.

Il parco, intitolato al giudice Giovanni Falcone, nacque a conclusione di iniziative pubbliche organizzate dai parrocchiani della chiesa di SS Pietro e Paolo con in testa i loro preti, Salvatore Resca e Giovanni Piro.

Domenica prossima, nell’anniversario della strage di Capaci, Città Insieme (appena costituita quando, nel 1987, queste iniziative di cittadinanza ebbero luogo) ha organizzato un webinar in cui verrà ricostruita questa “storia di riscatto”, attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuta in prima persona. L’incontro, organizzato per le ore 18, si potrà seguire sulla pagina Facebook dell’associazione.

Ci sembra importante che venga ricordata, in una ricorrenza carica di significato, una vicenda di impegno civico che ha avuto i cittadini come protagonisti e come oggetto la riconquista di un bene comune, sottratto alla mafia.

Nel corso della mattinata di domenica 23 maggio, dalle 9 alle 12, è – inoltre – previsto un appuntamento di ‘lavoro’ nel parco Falcone, luogo in cui gruppi di volontari, convocati dalle associazioni Nuova Acropoli e CittàInsieme, sono periodicamente intervenuti con “centinaia di metri lineari di recinzione e decine di panchine ripitturate, numerose piante Yucca e ficus magnolia piantati, ritinteggiati i giochi dell’area bimbi, tonnellate di rifiuti raccolti, spazzati i vialetti d’ingresso e ripulite le siepi”.

Domani mattina saranno, ancora una volta, i cittadini a prendersi cura di un bene pubblico, trascurato dall’Amministrazione.

Nel pomeriggio di oggi, sabato 22 maggio, alle 18, all’interno di questa due giorni di riflessione sull’impegno antimafia, sollecitato dalla ricorrenza della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, verrà presentato e discusso, on line, sulla pagina Facebook dell’associazione CittàInsieme, il libro su Rosario Livatino, “Non chiamatelo ragazzino“.

A parlarne saranno Virginia Drago (autrice della postfazione), Salvatore Resca, Mirko Viola, Luca Trovato e Giuseppe Pappalardo (CittàInsieme), Vincenzo Messina e Ylenia Palamito (volontari di Nuova Acropoli Catania) e l’autore, Marco Pappalardo, insegnante.

Destinato ad un pubblico ampio, ma scritto con l’intento di raggiungere in particolare i giovani, questo testo, già nel titolo, intende confutare l’espressione utilizzata in forma dispregiativa da Francesco Cossiga, allora Presidente della Repubblica, quando affermò che non ci si potesse fidare dell’azione penale esercitata da un ‘ragazzino’. “Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta”.

La vita stessa del giudice Livatino e ancora più la sua morte, avvenuta in un agguato mafioso nel settembre del 1990, dimostrano quanto le parole di Cossiga fossero offensive ed inopportune, anche se, paradossalmente, oggi sono divenute come un contrassegno, l’emblema di una giovinezza spezzata proprio dalla coerenza con cui il giovane magistrato svolgeva il suo ruolo istituzionale.

Argo

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