Non è, purtroppo, difficile cogliere i segnali di malessere dei giovani, trovare atti di autolesionismo compiuti, in varie forme, da adolescenti sempre più a disagio con se stessi e con gli altri.
Tra questi fenomeni c’è anche l’aumento del consumo di sostanze stupefacenti tra i giovanissimi, già prima della pandemia, a maggior ragione durante quest’anno così difficile.
Non c’è solo l’età che si abbassa, c’è anche l’emergere di modalità diverse, il ricorso alle droghe non più come momento sociale di contestazione, ma come ricerca solitaria di evasione, di fuga da una realtà in cui non si riesce a trovare il proprio posto.
Segnali che riguardano non solo ragazzi che vivono in ambienti disagiati ma anche figli di famiglie borghesi con alto tasso di scolarizzazione.
Quando leggiamo che a Catania ci sono giovani che vanno a casa di donne anziane per farsi cucinare il crack e respirarne i vapori, la cosa è doppiamente preoccupante, sul fronte dei ragazzi e anche su quello degli anziani che pare abbiano abdicato al ruolo di sagge guide.
Altro segnale, la gran quantità di lattine o bottigliette monodose abbandonate nei pressi del Mc Donald di piazza Stesicoro o in piazza Teatro Massimo: testimoniano ogni mattina il rito di consumo del crack, la droga venduta a prezzi così bassi che anche gli adolescenti possono permettersela, salvo restare poi irretiti nella sua dipendenza.
Dell’eroina, invece, è cambiata la modalità di assunzione. Piuttosto che iniettata, viene fumata o sniffata, con effetti comunque devastanti.
Ne abbiamo parlato con Dario Montana di Libera, che questi fenomeni ha descritto nel suo intervento all’incontro del Seminario d’Ateneo dedicato a “Periferie. Emergenza criminale? Problema urbanistico? O grande questione sociale e politica?”
“Ribadisco la centralità della questione educativa – ci dice – nel momento attuale di crisi sociale, accentuata dalla diffusione della pandemia ma ad essa precedente. I ragazzi sono sempre più ‘vite di scarto’, dimenticati, e di fatto consegnati alla criminalità organizzata”.
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Quest’ultima , infatti – prosegue – è oggi, spesso , soprattutto nelle periferie, che non sono solo geografiche, basti pensare a San Cristoforo, l’unica agenzia educativa e “riempie lo spazio lasciato libero dalle istituzioni”, che delle periferie e dei ragazzi si disinteressano.
La mafia offre, infatti, ai giovani non solo la possibilità di facili guadagni, ma anche un sistema di valori. “Valori” ben rappresentati dalla musica “trap”, con i suoi messaggi forti, violenti, minacciosi verso i ragazzi degli altri quartieri, intrisi di riferimenti alla droga, all’alcool, ai soldi come segno del successo, alle forze dell’ordine come nemiche.
Ma il messaggio della mafia arriva ai ragazzi soprattutto attraverso le loro famiglie, a cui peraltro la criminalità organizzata offre un welfare alternativo a quello dello Stato, guadagnando così un consenso che utilizzerà poi nelle competizioni elettorali.
“Controllare i voti a Librino – dice ancora Montana – equivale ad esprimere il sindaco di Catania, i deputati regionali e via discorrendo”.
Si consolida così il circolo vizioso per cui siamo noi stessi, per avere qualche vantaggio spicciolo, talora solo promesso, a scegliere degli amministratori che in realtà amministrano solo i propri interessi e non operano a vantaggio della collettività. Questo disinteresse per i bisogni dei cittadini crea, a sua volta, le situazioni di disoccupazione, mancanza di servizi, da cui cerchiamo di uscire affidandoci a chi ci promette aiuto in cambio di un consenso, e di un voto, che serve a rafforzare il proprio potere, senza che esso venga usato per risolvere i problemi.
Chi è più ricco diventa sempre più ricco, chi ha poco ha sempre di meno, e la pandemia non ha fatto altro che accentuare queste diseguaglianze.
Alla base, secondo Montana, c’è il mancato riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone, il lavoro, la casa, l’assistenza sanitaria.
Questa situazione si riverbera sui ragazzi che diventano la manovalanza della criminalità organizzata che pesca nel disagio sociale, nella disoccupazione giovanile, nella dispersione scolastica, e toglie ai giovani il futuro.
“L’impegno delle associazioni che operano nei quartieri più disagiati non basta. Serve una risposta politica ai bisogni delle persone – ribadisce Montana – per ridare ad esse dignità”. E serve, da parte di tutti, l’assunzione della questione educativa come prioritaria e centrale. A partire dal contrasto alla dispersione scolastica, che ha numeri elevatissimi in Sicilia ((80 mila) e in particolare a Catania (16 mila).
Sulla questione scuola (evasione dall’obbligo, ma anche apertura pomeridiana delle scuole) ha deciso di impegnarsi con determinazione il presidente del Tribunale per i minorenni,, Roberto Di Bella, che intende continuare a Catania il progetto “Liberi di scegliere” avviato a Reggio Calabria.
Un progetto che si basa, sin dall’inizio, proprio sulla collaborazione di Libera, impegnata nel difficile compito di individuare le famiglie disponibili ad assumersi l’onere di accogliere e seguire i ragazzi allontanati dalle famiglie mafiose.
Ad oggi 60 bambini e 30 donne “hanno scelto di prendere le distanze dai contesti mafiosi nei quali erano inseriti. Ecco perché – prosegue Dario Montana – ‘Liberi di scegliere’ e’ un progetto che necessita del sostegno di tutti noi, molto oltre Libera, e questa città ha risorse, esperienze, competenze e capacità in grado di sostenere le scelte di chi trova il coraggio di rompere con la cultura mafiosa”.
Se quindi, come ci dice ancora Montana, l’impegno delle associazioni non deve e non può essere sostitutivo rispetto a quello dello Stato, è pur vero che solo una rete ampia di associazioni, che metta in collegamento non solo quelle che già aderiscono a Libera ma si estenda ad altre realtà che operano attivamente sul territorio, può contribuire a rendere più efficace il contrasto alla ‘proposta culturale’ della criminalità organizzata, che rischia altrimenti di essere l’unica a raggiungere i giovani più fragili e divenire per essi totalizzante.