Finalmente una buona notizia, l’assegnazione dei beni aziendali, definitivamente confiscati nel 2019 alla famiglia Ercolano, alla cooperativa costituita dai lavoratori della Geotrans.
Si è sbloccata così la paradossale vicenda della costituzione di questa cooperativa, sollecitata – dopo anni di amministrazione giudiziaria – dalla stessa Agenzia per i beni confiscati, ma lasciata poi in stand by per un anno intero, dopo il passaggio di consegne tra il vecchio direttore dell’Agenzia, Bruno Frattasi e il nuovo, Bruno Corda.
Lo stallo rischiava di compromettere la partecipazione finanziaria, alla cooperativa, dell’investitore istituzionale CFI (Cooperazione Finanza e Impresa, del Ministero sviluppo economico), necessaria per la prosecuzione dell’attività aziendale, e di mandare a monte la realizzazione del piano industriale, impedendo il rinnovo dei vecchi contratti e la stipula di nuovi.
Un rischio non da poco, considerato che la Geotrans è una delle poche aziende italiane confiscate che sono rimaste sul mercato mantenendo i conti in ordine e il posto di lavoro ai suoi dipendenti.
Per raggiungere questo obiettivo ha dovuto superare momenti difficilissimi: la sottrazione dei clienti ad opera degi ex proprietari, la conseguente perdita dell’80% del fatturato, le porte chiuse da parte delle banche, inclini a negare alle aziende confiscate i prestiti che largamente concedono alle attività gestite da famiglie mafiose.
Momenti ricordati da Denise Bongiovanni, Salvo Formica e Maurizio Faro che hanno dialogato con Luca Gulisano nell’incontro on line organizzato giovedì scorso dall’Associazione Memoria e Futuro, impegnata da tempo sulla questione dei beni confiscati.
Della storia della Geotrans, i lavoratori hanno raccontato non solo le vicissitudini negative ma anche le vittorie, l’impegno a favore della legalità, le prospettive.
Le difficoltà sono state superate perché i lavoratori e il loro amministratore giudiziario, Luciano Modica, hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto. Modica non si è limitato a fare una relazione al giudice delegato, ha coivolto la stampa, ha denunciato la gravità della situazione e l’abbandono in cui l’azienda era lasciata, ha cercato nuovi clienti, ha costruito una rete di rapporti con altre aziende confiscate presenti sul territorio nazionale e con gruppi impegnati sul fonte della legalità.
La cooperazione tra i lavoratori e l’amministratore giudiziario è stata un punto di forza di questa esperienza. Anche se l’iter per la costituzione della cooperativa si è concluso da poco, la cooperativa c’era già, di fatto, sin dai tempi del sequestro perché c’era il lavoro di squadra, la condivisone delle decisioni, come ha ricordato Salvo Formica.
Questo ha migliorato il rendimento del personale, motivandolo e responsabilizzandolo, in modo che ciascuno potesse esprimere al meglio le proprie potenzialità. Ne è derivato un ambiente di lavoro ben diverso da quello della gestione accentrata degli Ercolano.
Anche l’azienda si è trasformata, prima “era di fatto una agenzia, prendeva commesse e le rivendeva ai vari padroncini” ha detto Maurizio Faro, responsabile del settore commerciale. Ora è una vera azienda, con propri mezzi, proprie risorse e un proprio piano industriale concepito per permettere a questa realtà medio-piccola di sfidare le aziende molto più grosse che dominano il mercato, senza passare attraverso lo sfruttamento dei dipendenti ma continuando a rispettare le norme che li tutelano (ore di guida, pause, soste…).
In questo percorso i lavoratori hanno acquisito anche coscienza del proprio ruolo di difensori della legalità, hanno capito che essere una azienda confiscata non è un handicap, ma può divenire un valore aggiunto, può dare all’azienda – così si è espressa Denise Bongiovanni – “un’impronta” che la caratterizza e la differenzia. E hanno trovato il coraggio di investirci anche le proprie risorse, secondo il modello dello workers buyout.
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Le istituzioni in quanto tali potrebbero fare di più, a partire dalla Agenzia che dovrebbe essere più presente e anche più rapida perché la velocità è importante, può decretare la vita o la morte di un’azienda. Si rischia, altrimenti, di perdere la scommessa sui beni confiscati e di mantenere, della confisca, come ha più volte ribadito Claudio Fava, solo l’aspetto sanzionatorio.
I lavoratori della Geotrans si proiettano già verso il futuro. Hanno chiara la necessità di fare rete, di creare un interscambio con altre cooperative, vogliono continuare a vendere cara la pelle, a dimostrare convinzione, coraggio, inventiva.
Per riascoltare “Trenta minuti con i lavoratori della Geotrans”
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