Una banca dati del patrimonio edilizio pubblico dismesso e l’utilizzo degli immobili di questo patrimonio anche per fini abitativi: sono le richieste avanzate al Sindaco, agli assessori all’Urbanistica e alla Cultura, al presidente del Consiglio comunale e a quello della Commissione urbanistica, da un gruppo di associazioni catanesi, Sunia, Osservatorio, Comitato Librino Attivo, CittàInsieme e Comitato Antico Corso.
Attraverso una lettera aperta, che trovate di seguito, si indicano i possibili interventi per rimettere in discussione decenni di scelte politiche urbanistiche (il Piano Regolatore Generale risale al 1969) “che hanno esasperato disuguaglianze e fratture sociali” e determinato il progressivo spopolamento (di abitanti e attività) del Centro Storico.
Per queste Associazioni è, perciò, necessario un radicale cambiamento per rimettere in discussione un modello “che colloca l’edilizia residenziale pubblica nelle periferie e marginalizza le fasce di popolazione più fragili”. Per farlo occorre partire dal riutilizzo “dei grandi edifici pubblici dismessi mettendo in atto importanti interventi di risanamento ambientale, risparmio energetico, valorizzazione del verde e trasformazione sociale”. In sostanza, un progetto urbanistico che punta a costruire una città resiliente, capace di produrre quei processi di rigenerazione urbana necessari per costruire un modello sociale coeso e integrato.
In questa prospettiva, alloggi a prezzi popolari possono essere approntati – come sostiene Giusi Milazzo (SUNIA) e come Argo ha già scritto – non nelle periferie, per le quali la questione più importante da risolvere resta piuttosto il potenziamento dei servizi, ma nel centro storico, evitando, così, di incentivarne la sola vocazione turistica.
La proposta delle associazioni non è “peregrina” ma coerente con un modello sociale e urbanistico sperimentato con ottimi risultati in altre parti d’Italia (puntualmente indicate nella lettera), dove le strutture di ex ospedali cittadini, collocati in centro storico, sono state trasformate in alloggi a canone calmierato, studentati, spazi sociali, servizi condivisi sulla base di progetti di social housing.
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Ecco la Lettera aperta
Al Sindaco On. Avv. Salvo Pogliese
All’Assessore all’Urbanistica Avv. Enrico Trantino
All’Assessore alla cultura Dott.ssa Carmen Mirabella
Al Presidente del Consiglio Com. Dott. Giuseppe Castiglione
Al Pres. della Comm.Cons.Urbanistica Dott. Manfredi Zammataro
Trasmettiamo il nostro punto di vista sul tema del riuso degli edifici pubblici dismessi, in attesa che si individuino e si codifichino le procedure del confronto sui temi urbanistici e sociali e che lo stesso si estenda ad altre tematiche inerenti i bisogni della comunità, per potersi confrontare in maniera più approfondita.
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Catania è una città dagli stridenti contrasti, frutto di decenni di scelte politiche miopi che hanno esasperato disuguaglianze e fratture sociali.
Lo dimostrano la distribuzione della ricchezza, i dati occupazionali, la conformazione urbanistica e la difficile condizione di marginalità esasperata dalle conseguenze della pandemia, che la città sta vivendo.
Eppure questo dovrebbe essere il tempo della coesione sociale e della solidarietà, della rigenerazione urbana per spazi ed edifici, dell’incremento del verde e della mobilità dolce, della predisposizione di una rete efficace di servizi di prossimità, che renderebbe concreto ed esigibile il diritto alla città per tutte le classi sociali e per tutte le fasce di popolazione e renderebbe comunque la città più ordinata e più fluidamente fruibile. Quel diritto a vivere e ad abitare la città e a ricreare il senso di comunità che questo clima di insicurezza rende ancora più pressante perseguire.
Catania è la città della speculazione immobiliare che nel corso di decenni di attività frenetica ha riempito gli spazi verdi, pregiati, sul mare, in collina, ovunque insomma, di edilizia residenziale di dubbia qualità (senza la contestuale realizzare delle opere di urbanizzazione e dei servizi dovuti).
E’ la città cresciuta con un piano regolatore approvato negli anni ‘70 senza un’idea che guidasse le trasformazioni urbane via via attuate, è la città dove la corsa all’acquisto di prime e seconde case è stata sino a dieci anni fa inarrestabile, è la città dove nonostante le migliaia di case non utilizzate esiste una fame endemica di alloggi. Basterebbe approfondire il tema dell’abitare, la cui centralità è stata messa in evidenza dalla pandemia e dall’impoverimento della popolazione.
Parlando di abitare sono infatti immediatamente evidenti le criticità di un sistema urbano e di un modello di welfare abitativo che acuisce segregazione e malessere sociale e che deve per questo essere ridiscusso:
Irrisolto il problema del bisogno crescente di edilizia residenziale popolare e della condizione di abbandono in cui vivono migliaia di famiglie confinate nei casermoni delle grandi periferie.
Irrisolto il nodo dei quartieri popolari del centro storico, la cui valorizzazione sembra che possa passare esclusivamente dall’incentivarne la vocazione turistica.
Sono quartieri in cui lo spopolamento è già una realtà, aggravato dalla chiusura di esercizi commerciali ed attività pubbliche.
Senza risposte ancora la nuova emergenza abitativa che sta interessando anche i ceti medi, creata dalla crisi economica dovuta alla pandemia
Un’occasione per progettare un modello di welfare abitativo innovativo e sostenibile dal punto di vista ambientale economico e sociale, è costituita dal riuso anche per fini abitativi dei grandi immobili, contenitori di funzioni pubbliche dismesse. E’ questo un elemento comune a tante città , ma non sempre c’è la consapevolezza dell’opportunità offerta dai vecchi edifici abbandonati che possono rinascere a nuova vita assolvendo a importanti funzioni sociali.
Per questo chiediamo la creazione di una banca dati del patrimonio edilizio pubblico dismesso da riutilizzare (banca del riuso). Banca dati che va aggiornata almeno annualmente.
Anche in questo caso siamo convinti che sia necessario individuare le priorità e analizzare i bisogni come elemento propedeutico all’elaborazione di progetto compiuto. Pensiamo poi che i processi di partecipazione debbano rispondere a criteri di inclusione delle comunità e di efficacia dei risultati e che, come abbiamo sempre sostenuto, qualsiasi scelta debba essere assunta nell’ambito di una cornice definita costituita dallo Strumento urbanistico di programmazione.
Vogliamo comunque, così come chiediamo da anni, che nell’affrontare il tema dell’utilizzazione degli edifici pubblici ormai vuoti, ci sia la consapevolezza della necessità di una nuova cultura dell’abitare sociale. Pensiamo che Catania possa essere protagonista di un processo che parta dal basso e che ridisegni il volto del centro storico e delle periferie reinventando l’utilizzo dei grandi edifici pubblici dismessi mettendo in atto importanti interventi di risanamento ambientale, risparmio energetico, valorizzazione del verde e trasformazione sociale. Pensiamo che questo sia un grande investimento culturale, se con il termine cultura intendiamo i processi sociali e materiali che interessano e influenzano le comunità.
E’ una occasione che la città non può perdere, tanti sono i benefici che la collettività otterrebbe. Proviamo ad elencarli:
La rottura del modello che sceglie la collocazione dell’edilizia residenziale pubblica nelle periferie e che marginalizza le fasce di popolazione più fragili.
L’aumento dell’offerta di alloggi pubblici a canone sociale per rispondere al bisogno abitativo esasperato dalla pandemia e per sostenere la coesione sociale
Il rivitalizzazione, attraverso l’insediamento di residenti permanenti, dei quartieri della città storica tutelandoli dalle distorsioni causate dalla pressione turistica e dall’abbandono.
L’affermazione di un modello sociale ed urbanistico per una città resiliente e coesa che contempli la creazione di interconnessioni di funzioni urbane e di integrazione di fasce di popolazione, nei processi di rigenerazione urbana e nei progetti di riuso degli immobili dismessi. Una città che risponde a quei criteri di trasformazione che la crisi pandemica impone .
Altre esperienze di riutilizzo anche a fini abitativi di edifici dismessi ubicati nei centri urbani sono state realizzate in tante parti d’Italia, dimostrando la bontà dell’intervento. Vorremmo citarne alcune:
In Umbria il progetto Abitare gentile ha previsto la realizzazione di 60 alloggi negli edifici dismessi di un ex ospedale posto in centro cittadino
In Piemonte è stato attuato un progetto abitativo con un investimento di 3,7 milioni di euro nell’ex ospedale Umberto 1
A Firenze sono stati realizzati 18 alloggi ,spazi sociali e servizi condivisi nell’ex ospedale Meyer utilizzando 2,3 milioni di fondi del Pon Metro
A Lecce è in corso di realizzazione un progetto di cohousing pubblico, studentato, alloggi per anziani e donne con figli in condizioni di disagio nell’ex ospedale Galateo.
Abbiamo in atto la realizzazione di una banca dati delle esperienze di riuso
Catania 26 Marzo 202
Sunia Catania Osservatorio delle politiche urbane e territoriali Città insieme Comitato Librino attivo Comitato popolare antico corso
Scarica la lettera aperta sull’abitare sociale e la Nota di accompagnamento alla lettera aperta