Presìdi in 70 città e sciopero della scuola e del trasporto pubblico locale, ma anche mobilitazioni dei riders e dei lavoratori della logistica: venerdì 26 marzo, nei modi consentiti dalle regole della pandemia, una prima protesta sociale, parziale ma diffusa, si esprimerà in tutto il Paese.
I protagonisti sono consapevoli del fatto che, nella situazione attuale, la spesa pubblica aumenta in deficit e, nel contempo, si rendono disponibili ingenti risorse. Il conflitto politico che si apre, dunque, è quello sulla destinazione di questi fondi, in cui Scuola, Sanità e Trasporti saranno capitoli di spesa decisivi.
Coscienti che non si tratta di tornare ai fallimentari modelli “pre pandemia”, ma che occorre utilizzare le risorse europee per disegnare nuovi diritti, in contrapposizione con chi ha tagliato gli investimenti in tutti questi settori, ne ha regionalizzato (come nella sanità) la gestione e abbassato la qualità delle prestazioni.
Lo sciopero della scuola, in particolare, è promosso dai Cobas Scuola, Priorità alla scuola e Coordinamento nazionale dei precari scuola. Lo stesso schieramento che, in questi mesi, a partire dalla fine del primo lockdown, ha manifestato attraverso presìdi, flashmob e lezioni all’aperto, per richiedere l’apertura delle scuole in sicurezza.
Uno schieramento composito che ha messo insieme docenti, personale ATA, genitori e studenti, uniti dall’idea che le scuole, per ciò che rappresentano e per le possibilità di organizzare le strutture, avrebbero dovuto essere le ultime attività a chiudere.
In modo assurdo, invece, nel primo lockdown le scuole furono chiuse subito e i pub dopo una settimana. Per non parlare delle fabbriche delle armi, sempre in funzione!
Sulla scuola la preoccupazione principale è quella che il nuovo governo si accinga a (ri)scrivere, il progetto di utilizzo delle risorse previste nel recovery plan (circa 29 miliardi di euro) allontanandosi ancora di più dal modello di scuola pubblica previsto dalla Costituzione, che dovrebbe puntare alla formazione del cittadino, che deve essere dotato di strumenti cognitivi ed educato allo spirito critico.
Si teme che, per quello che è dato sapere, nelle intenzioni del governo sia prioritaria l’attenzione ai fondi per la digitalizzazione con un’adozione acritica delle nuove tecnologie.
Una prospettiva all’interno della quale c’è il rischio di trasformare i docenti in meri facilitatori di un processo di apprendimento standardizzato, oltre che gestito dalle multinazionali del web. Così come bisogna evitare che la scuola venga trasformata in un’agenzia per l’addestramento al lavoro.
Quello che gli organizzatori chiedono è un intervento di risarcimento per i tagli decennali subiti e un rilancio della scuola pubblica che parta dalla drammatica constatazione del degrado in cui versa.
Tre gli obiettivi strutturali possibili, considerati improrogabili:
1) ridurre a 20 il numero massimo di alunni per classe e a 15 in presenza di alunni diversamente abili;
2) garantire la continuità didattica e la sicurezza, assumendo con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni scolastici di servizio e gli Ata con 24 mesi;
3) intervenire massicciamente nell’edilizia scolastica per avere spazi idonei ad una scuola in presenza e in sicurezza.
Interventi urgenti e necessari per evitare che il prossimo anno scolastico inizi nelle stesse condizioni in cui si sono svolti gli ultimi due.
Consapevoli che chi cancella l’istruzione cancella il futuro.
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