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La forza di Giorgio

Un figlio con una patologia grave e una figlia con un disturbo raro, accanto a loro Giorgio trova in sè una forza inaspettata. Un racconto che diventa una storia di speranza, nonostante tutto.

Mi sono chiesto spesso cosa fosse la forza, arrivando in genere alla conclusione che non mi apparteneva, era riservata ad altri. Non potevo essere forte, ero troppo magro, insicuro, introverso.

Commettevo un errore perchè confondevo la forza con la prestanza fisica, non pensavo a qualcosa di più grande che sta ‘dentro’.

Non potevo capire perchè non ero stato messo alla prova. Poi la vita mi ha messo alla prova.

Dopo una infanzia serena e due anni di fidanzamento, a trentaquattro anni mi sono sposato. Altri due anni e mezzo ed è nata la nostra prima figlia, un evento che mi ha dato una gioia e un’emozione indicibile ma ha aperto una fase di grande difficoltà.

La depressione post partum di mia moglie, le nottate che ci sfiancano, i dissapori sui comportamenti da assumere con la bambina, la presenza continua dei genitori che ci aiutano ma nel contempo creano problemi, i miei turni di lavoro spesso notturni e festivi. E, per di più, i lavori di ristrutturazione del nostro appartamento, con tutti i problemi e gli impegni conseguenti.

Io e mia moglie non ci conoscevamo più, non avevamo più una vita nostra, non capivamo come fossimo arrivati a quel punto senza rendercene conto.

In questa situazione critica la mia forza di volontà e la mia voglia di riscatto sono venute a galla. Dovevo tenere per mano la mia famiglia e portarla fuori dal baratro nel quale eravamo piombati. Ho lottato tanto, anche contro me stesso, per rimanere al mio posto e non lasciare perdere tutto. La mia famiglia aveva bisogno di me!

Nel frattempo i lavori edili si erano conclusi, la bambina cresceva e noi eravamo più sereni, avevamo ritrovato noi stessi e l’equilibrio che mancava da un bel po’. Ma è arrivata una notizia bomba: a soli 8 mesi dalla nascita della bambina, mia moglie era già incinta del secondo figlio.

Una gravidanza non desiderata e mai accettata che l’ha portata nel tunnel della depressione, tanto da indurla a chiedere l’aiuto di uno psicologo.

Ma non sappiamo ancora quanto la nascita di questo secondo figlio scuoterà le nostre vite. Dopo un mese, infatti, dall’ospedale ci arriva una telefonata: dobbiamo fare accertamenti e test diagnostici che confermeranno l’ipotesi che il nostro bambino è affetto da una malattia genetica, la fibrosi cistica.

In quel momento è crollato tutto il mio mondo, ma – nello stesso tempo – ho sentito crescere in me una forza incredibile che non saprei proprio spiegare.

Mi sono reso conto che, superando i problemi del rapporto tra me e mia moglie, dovevamo unire le nostre forze per combattere, insieme, il mostro che minaccia la salute e la vita del piccolo. Dobbiamo combattere per lui. Se non lo facciamo noi, chi lo farà?

Mia moglie, invece, non ha reagito. Semplicemente non ne ha avuto la forza. Hanno prevalso in lei i sensi di colpa per una gravidanza non voluta e non accettata, si è sentita “rea” di aver messo al mondo un bambino malato.

Un motivo di più per superare la tentazione di mollare tutto e continuare ad essere il pilastro sul quale la mia famiglia doveva poter contare.

Comincia un percorso che continua anche oggi. Veniamo informati ed istruiti su tutto quello che c’è da fare: terapie durante i pasti, assunzione di medicine, fisioterapie da eseguire quotidianamente a casa, flebo e precauzioni varie da adottare. Ma c’è anche la sorellina che deve essere accudita. Dobbiamo far fronte alle esigenze di due bambini così piccoli da poter essere quasi gemelli ma che hanno necessità differenti.

Nei loro confronti dobbiamo indossare, da ora in poi, i panni di genitore, pediatra, psicologo, infermiere, dottore, fisioterapista, nutrizionista, assistente sociale.

Abbiamo anche intrapreso un percorso psicologico di coppia per cercare di migliorare il rapporto che, ad oggi, abbiamo quasi totalmente recuperato. Mia moglie sta molto meglio e questo ha ricadute positive all’interno della famiglia. Siamo tutti più sereni e ridiamo di più nonostante le preoccupazioni, i problemi di salute, i frequenti ricoveri e le difficoltà quotidiane di un qualsiasi nucleo familiare.

Ci facciamo forza anche davanti ad un nuovo motivo di preoccupazione, il disturbo di cui soffre la bimba più grande, il mutismo selettivo, che cerchiamo di risolvere con sedute psicologiche.

Si tratta di un disturbo poco conosciuto, a causa del quale i bambini, anche se a casa e in ambienti familiari si esprimono normalmente, non riescono a parlare fuori casa o in presenza di estranei.

Non essendo dovuto ad una disfunzione organica o ad un’incapacità legata allo sviluppo, viene considerato una risposta ad un forte stato emotivo di ansia. Così ci hanno spiegato medici e pasicologi e questo conferma la storia della nostra bambina, che ha evidentemente sofferto delle difficoltà che abbiamo attraversato e risente della patologia del fratellino.

Vivace e intelligente, persino chiacchierona quando è con noi o con i nonni, non parla quando è fuori: a scuola le insegnanti non hanno ancora sentito la sua voce. Esserle accanto, aiutarla ad acquistare serenità e sicurezza non è un impegno da poco.

Le difficoltà che ci aspettano sono grandi, possiamo fare errori o cadere a volte nello scoraggiamento, ma volevo raccontarvi questa storia perchè essa mi appare oggi come una storia di rinascita, di rivincita, di speranza e di… forza!

La fibrosi cistica da cui è affetto mio figlio mi ha indotto ad impegnarmi nel volontariato, a schierarmi in prima linea nel far conoscere questa malattia genetica a quanta più gente possibile, a partecipare alle campagne di raccolta fondi affinché si trovi una cura definitiva per mio figlio, per tutti i malati, per coloro che nasceranno con questo mostro che sconvolge la vita di tutto il nucleo familiare.

E sono tante oggi le persone che mi dicono che sono forte e che do forza anche a loro. Che strano, proprio io che pensavo che la forza non mi appartenesse e non mi sarebbe mai appartenuta.

Argo

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  • Il racconto di un vissuto complesso, doloroso, come quello di Giorgio, in cui costantemente ci sono difficoltà da affrontare e gestire, è una lezione esistenziale profonda. Personalmente ritengo che rendere gli altri partecipi della propria storia sia fare loro un dono e il dono merita una restituzione. Per questo mi sento di dire "grazie" a Giorgio ed a chi, come lui,trasformando un'esperienza dolorosa in una generosa e dativa,riesce, nonostante tutto, a comunicare un messaggio positivo, perchè - fa bene ricordarlo- non si contagiano solo i virus,si contagia anche la virtù come la fortezza che Giorgio testimonia Non a caso,i due termini hanno la stessa radice che ne rivela il potere.

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