L’allevamento degli animali genera più gas serra del sistema dei trasporti. Lo dice la FAO, lo confermano molti studiosi.
Ma c’è di più. Agli allevamenti intensivi sono collegati molti altri aspetti problematici per il pianeta e anche per l’umanità.
I prodotti agricoli che servono all’alimentazione animale occupano buona parte delle terre coltivate del pianeta, talora sottratte ai contadini locali che le utilizzavano per la propria alimentazione; per ricavare pascoli o campi coltivati per il mangime si distruggono gli habitat naturali uccidendo la fauna originaria e la biodiversità; il largo uso degli antibiotici negli allevamenti contribuisce a determinare la farmacoresistenza che ha pericolose conseguenze nella cura delle malattie umane.
Si potrebbe continuare a lungo parlando delle condizioni terribili in cui vengono tenuti gli animali degli allevamenti intensivi, del cibo in più che si potrebbe produrre per quella parte della popolazione mondiale che soffre di denutrizione, dell’enorme consumo di acqua in un contesto in cui l’acqua diviene un bene sempre più prezioso, delle condizioni di lavoro di chi è occupato senza garanzie nei distretti della carne, delle gravi conseguenze che un’alimentazione troppo ricca di proteine animali ha sulla salute umana.
Ci troviamo, insomma, davanti ad un problema grave e complesso, con risvolti economici, sanitari, etici, nei confronti del quale la proposta dei “Lunedì senza carne” di cui ci parla oggi la nostra amica Laura Sciacca, docente e scrittrice, può sembrare un cosiddetto ‘pannicello caldo’, un rimedio del tutto inadeguato alla drammaticità della situazione.
Eppure la ricaduta parziale, ma non indifferente, di questa iniziativa sull’ambiente, il suo carettere simbolico, l’opportunità che offre di segnalare il problema, l’invito a compiere un piccolo gesto, accettabile anche da parte di chi non si senta pronto a soluzioni più radicali, come divenire vegetariani o vegani, rendono questa proposta meritevole di attenzione.
In principio era il venerdì… il giorno deputato all’astensione dalla carne secondo la tradizione cristiana, in rispetto alla Passione di Cristo. Una consuetudine molto viva nel passato a noi vicino, quello dei nostri nonni, i quali si sentivano ancora profondamente radicati alle norme dettate dalla Chiesa in campo sì religioso e anche etico.
Rinunciare alla carne, un bene allora raro, era anche un modo per fare penitenza ed elevarsi spiritualmente, sacrificando qualcosa al quale si teneva. Un tempo la distinzione tra il “si fa” e il “non si fa” era netto sia in virtù di regole religiose, ma era anche dettato da questioni pratiche.
In riferimento all’alimentazione, fino al secondo dopoguerra e oltre era palese anche a un bambino che la carne non si dovesse e non si potesse mangiare ogni giorno, innanzitutto perché costava parecchio, era un cibo di lusso, da riservare a occasioni particolari o ai malati (lo stesso valeva per i dolci).
Così l’alimentazione quotidiana della gente comune era basata su cereali integrali, legumi, verdure, pochi latticini e aria buona! Tenuto poi conto del fatto che molti di questi alimenti venivano coltivati direttamente da chi li consumava in maniera naturale o erano a Km 0, acquistati dal produttore al consumatore, ci rendiamo conto di quanto fossero sani e integri. Nonostante le restrizioni era un’alimentazione pressoché perfetta.
Gli anni ’60 hanno cambiato gli stili alimentari in peggio, introducendo prodotti animali e zuccheri raffinati a buon mercato, per tutti, ogni giorno e i risultati a livello globale sono disastrosi. Ma quanti se ne rendono conto? Pochi, considerata la fila che vediamo nei bar per iniziare la giornata con cappuccino e brioche o l’abitudine di inserire proteine animali a ogni pasto, quindi tre/quattro volte al giorno.
Solo da qualche anno si sta facendo sul serio strada la consapevolezza dei danni provocati da un’alimentazione “ricca”, così da più fronti si tentano passi indietro, verso l’integrale e il vegetariano.
Che il rinunciare ai prodotti animali sia la panacea per i mali che affliggono l’umanità può sembrare una sciocchezza, finché non si approfondiscono i danni che tali prodotti arrecano in primo luogo alla Terra, sconvolta nelle sue plaghe più remote per far strada alle coltivazioni intensive di foraggio, agli animali sfruttati e uccisi e l’elenco potrebbe continuare, vi invito solo a cliccare “consumo per acqua allevamento intensivo” per scoprire quanto acqua ci vuole per allevare una mucca destinata alla macellazione.
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Se andiamo ad analizzare i danni alla salute delle persone ci stupiamo scoprendo che la maggioranza delle malattie odierne è dovuta proprio al consumo di prodotti animali in eccesso.
Per porre quantomeno un limite e sensibilizzare le masse sono nati svariati movimenti meno estremi di vegani, crudisti e fruttaviani: si fanno chiamare “vegetariani part-time” e propongono un’alternativa di mezzo, cioè mangiare almeno un giorno a settimana senza carne, il lunedì.
L’iniziativa è nata un paio di anni fa da Paul McCartney, l’ex Beatle, il quale già dagli anni ’70 si è lanciato in stili di vita alternativi e ha preso un certo piede, proprio per la sua semplicità di attuazione.
Per i più è impensabile diventare vegetariani, è facile però rinunciare un solo giorno alla classica fettina, magari provando a sperimentare nuovi sapori come il tofu, il seitan e chi più ne ha più ne metta, le proteine vegetali sono una miriade e non hanno necessariamente nomi esotici e strani, si chiamano anche lenticchie, fave, fagioli…
Basta infatti guardare appena alle nostre spalle, ai piatti tipici della tradizione contadina siciliana, sono quasi tutti vegetariani! Parmigiana di melanzane, minestre, pasta e ceci, polpette di verdure, merende a base di pane, olive e un po’ di formaggio, tutti deliziosi, equilibrati e sani!
La scelta è enorme e sempre più salutare della solita fettina di ignota provenienza, del pesce di allevamento, del prosciutto in busta. E il cerchio si chiude: torniamo alla Terra, ad ascoltarla ed assecondarla, come faceva chi ci ha generati. Basta metterci impegno, mettere da parte l’abitudine, per compiere un significativo balzo in avanti per noi stessi, per gli animali, per il mondo intero.