Per raccogliere l’eredità di Pippo Fava, dobbiamo permettere a chi vuole fare buon giornalismo di poterlo farlo, con tutte le garanzie, compresa la modifica della legge sulla stampa che risale al 1948.
Un impegno che la Fondazione Fava, sollecitata da Concita De Gregorio, si è detta disponibile ad assumere, per bocca di Claudio Fava, nel corso del dibattito on line organizzato in occasione del 37esimo anniversario dell’assassinio del padre.
Un dibattito, moderato da Attilio Bolzoni, sul tema “Triste, solitario y final: dove va il giornalismo in Sicilia?”, a cui hanno partecipato lo stesso Claudio Fava, Nello Scavo, Concita De Gregorio, Mario Barresi, Accursio Sabella, Claudia Campese, introdotti dalla presidente della Fondazione, Francesca Andreozzi.
Un confronto su quello che è oggi il giornalismo al Sud, tema sul quale Claudio Fava ha espresso alcune preoccupazioni, come quella di aver archiviato troppo velocemnte il passato lasciando aperti molti punti di domanda su vicende che sono rimaste “orfane di verità”, ma anche sensazioni positive per aver conosciuto, in questi ultimi anni, una nuova generazione di bravi giornalisti per i quali bisogna “immaginare strumenti e luoghi, in cui fare buona informazione”.
Una informazione che sappia leggere e interpretare la realtà e in particolare i sistemi di potere. Non c’è – sostengono Fava e Bolzoni – il giornalista o lo scrittore ‘antimafia’, etichetta tipica dei “salotti buoni”; c’è chi racconta quello che vede attorno a sé, come facevano Pippo Fava o Sciascia. C’è chi dà le informazioni, come faceva L’Ora e invece non faceva La Sicilia.
Della generazione dei giovani giornalisti fa parte non solo Claudia Campese, la trentacinquenne direttora di Meridionews, ma anche i ragazzi più giovani, ventenni, che imparano a fare i giornalisti in una situazione sempre più complicata, in cui mancano non solo i maestri ma anche gli spazi e le opportunità.
Le difficoltà che incontra oggi l’informazione, anche quella on line, vengono spesso attribuite ai lettori che sono distratti, leggono poco, si limitano a scorrere i titoli. Ma Campese non ci sta, se le regole del gioco sono cambiate, bisogna imparare a conoscerle e padroneggiarle, bisogna reiventarsi e capire che “per raggiungere le persone devo sapere dove trovarle”, anche sui social, senza snobismi, trovando un nuovo equilibrio tra comunicazione e informazione.
Che il mestiere sia cambiato lo riconosce anche Mario Barresi, “non consumiamo più la suola delle scarpe e spesso finiamo per essere assemblatori di semilavorati da social”.
E comunque si è aperta, per i giornalisti, una vera e propria lotta per la sopravvivenza, tra restribuzioni inadeguate e ritmi di lavoro insostenibili, anche per chi ha il privilegio di lavorare sotto contratto.
Chi fa inchieste o tocca nervi scoperti deve avere paura non delle pallottole ma delle lettere degli avvocati e delle cause civili con relative richieste di risarcimento.
Delle denunce subite parla anche Accursio Sabella e ribadisce che solo chi ha un contratto di assunzione, e può contare sul team legale del proprio editore, non è esposto al ricatto ed ha la possibilità di difendersi, non tanto dalle denunce per diffamazione quanto delle onerose richieste di risarcimento. Ma i giornalisti con regolare contratto di assunzione sono ormai pochissimi.
Sabella conferma anche la fruizione “mordi e fuggi” dei giornali on line, spesso soprattutto attraverso i social network. Paradossalmente gli articoli seri di approfondimento vengono letti meno di articoli più leggeri che hanno comportato molto meno lavoro. L’attenzione al conteggio del numero di visualizzazioni, anche da parte dell’editore, produce tendenzialmente uno scadimento della qualità degli articoli.
Forse il nervo scoperto più sensibile lo tocca Concita De Gregorio, che si interroga sulla provenienza dei soldi che girano attorno all’informazione, sul ruolo del “padrone”, sull’autocensura da parte di chi scrive, sul carattere liberticida della legge sulla stampa che considera chi scrive responsabile, con il proprio patrimonio, davanti alle richieste di risarcimento, e prevede che il patrimonio venga messo sotto sequestro in attesa della sentenza.
Su questa legge (47/1948), che crea difficoltà anche a livello europeo e internazionale, si esprime anche Nello Scavo, che interviene brevemente dal confine con la Croazia, raccontando la propria esperienza, che è comunque quella di un giornalista ‘privilegiato’ che ha alle spalle gli avvocati del suo editore.
Sono soprattutto i giovani, più scoperti, che vanno liberati dal potere di ricatto.
Se la Fondazione farà sua questa battaglia, lo farà nella consapevolezza che già in passato, come ricorda Claudio Fava, le modifiche non sono state possibili per l’opposizione di uno schieramento trasversale che non vuole rinunciare al potere di intimidire la stampa per poterla controllare.
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