“Almeno 200 mila famiglie in Sicilia, che hanno una casa in locazione, hanno (o avranno nei prossimi mesi) gravi problemi a pagare i canoni d’affitto. E’ una delle conseguenze dell’emergenza sanitaria”. Lo scrive il Sunia in un Comunicato e aggiunge:
“Alcune migliaia sono i senza tetto, i così detti invisibili, un numero che rischia di crescere a causa della fine del blocco degli sfratti prevista per fine dicembre.”
Una situazione drammatica confermata dalla Caritas che, in questi mesi, ha registrato un considerevole aumento delle persone da assistere, molte delle quali ridotte in condizioni di estrema povertà.
La crisi, infatti, ha espulso dal mondo del lavoro soprattutto i più poveri, i lavoratori precari e chi lavora in nero.
Cosa fare davanti a questa situazione che tende a diventare strutturale e non può considerarsi quindi solo un’emergenza?
Innanzi tutto il Sunia sollecita “l’immediato utilizzo dei fondi stanziati dal Governo nazionale che ammontano a circa 17 milioni e potrebbero essere utili a scongiurare per molte famiglie, almeno temporaneamente, lo sfratto”.
Ma anche l’occasione delle risorse del cosddetto Recovery Fund non andrebbe sprecata.
“Eppure da una prima lettura del Piano regionale per la ripresa e la resilienza non sembra che il Governo abbia piena consapevolezza delle condizioni socio economiche del 25% delle famiglie siciliane e della necessità di mettere a punto un’infrastrutturazione sociale utile a far sì che si recuperino le gravi disuguaglianze che in questa fase si stanno acuendo”.
Destinare solo il 3,40% di queste risorse all’equità sociale e al welfare, anche abitativo, non sembra al Sunia un bel segnale.
Tutto il Piano, del resto, appare come “un’elencazione di obiettivi messi insieme un po’ a casaccio, molti dei quali sicuramente non realizzabili entro i tempi fissati dalla Comunità europea”.
Probabilmente un confronto approfondito con le comunità e le parti sociali avrebbe permesso di redigere un Piano di diversa qualità.
Ma questo confronto è mancato, nessuna delle parti sociali è stata convocata o comunque coinvolta nella preparazione del Piano che alla fine si è risolto in un tirare fuori dai cassetti vecchi progetti mai realizzati, senza nemmeno chiedersi se fossero congruenti con le priorità individuate dall’Europa.
Solo prima di inviarlo al Governo nazionale, ci dice Giusi Milazzo, segretaria del Sunia Catania, il Piano Regionale è stato mostrato ai sindacati confederali, senza coinvolgere comunque chi si occupa di problemi di disagio abitativo o di altre drammatiche questioni prese in carico dal Terzo Settore.
“Avremmo voluto proporre – leggiamo ancora nel Comunicato – un piano regionale per l’edilizia abitativa sociale da realizzare nell’ambito dei progetti di rigenerazione urbana riqualificando i tantissimi edifici pubblici dismessi.
Un piano che nell’ambito di un progetto integrato di interventi sociali ed urbanistici ridia dignità alle centinaia di migliaia di persone che sono in disagio economico e abitativo e rivitalizzi le nostre città, che – svuotate in questa fase dal turismo – mostrano quello che sono diventate, centri urbani desertificati e abbandonati.”
Un progetto che potrebbe riguardare l’intera città, il suo centro storico che si svuota di abitanti e di attività, rendendo significativa una formula, quella della rigenerazione urbana, che rischia di restare un modello astratto e utopistico.
Paradossalmente propro “dalla pandemia in atto vengono segnali importanti che vanno colti con immediatezza e utilizzati per disegnare le nostre società del prossimo futuro.”
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