Il contrasto alle discriminazioni multiple “è al contempo un imperativo morale ed un obbligo giuridico”, così il Forum Europeo sulla Disabilità (EDF), citato da Simona Lancioni nel corso del seminario “Donne. Con disabilità e con diritti di libertà”, organizzato dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Se ancora oggi essere donna comporta spesso svantaggi e minori opportunità, la situazione si aggrava per le donne con disabilità.
Una constatazione che potremmo considerare ‘evidente’ ma su cui poco si è ragionato, sia da parte dei movimenti per le pari opportunità sia da parte di chi difende i diritti delle persone disabili.
Proprio sulla concomitanza di diversi fattori nel determinare la “discriminazione multipla”, si è discusso nel convegno, ed è stato rilevato che, all’essere donne e all’avere una disabilità, si possono aggiungere altri motivi di discriminazione, come l’essere minori, anziane o straniere migranti. Anche la condizione economica, l’opinione politica, la religione, l’orientamento sessuale, possono essere causa di discriminazione, influenzandosi reciprocamente in modo da risultare inseparabili.
L’effetto moltiplicatore ha importanti ripercussioni nella vita delle bambine, delle ragazze e delle donne con disabilità, incide sullo studio, su lavoro e opportunità economiche, su salute e relazioni interpersonali, sulla partecipazione alla vita politica e sociale, ma anche sul pari riconoscimento davanti alla legge e sull’accesso alla giustizia.
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Si tratta di discriminazioni che iniziano dalla accessibilità degli spazi, privati (come la casa) o pubblici, come ha sottolineato Piera Nobili: “marciapiedi inesistenti o maltenuti, attraversamenti insicuri e non attrezzati, giardini e parchi pubblici non accessibili, assenza di panchine dove sostare per riposare e incontrare, servizi igienici pubblici mancanti” sono tutti ostacoli ulteriori per le donne con disabilità che vogliono “muoversi e vivere in autonomia”.
Ci sono poi le strutture sanitarie e i servizi territoriali, che sono per lo più “inaccessibili per edilizia, impianti, comunicazione e informazione, oltre che per le attrezzature mediche dedicate alle donne con disabilità”.
E questo riguarda anche la salute sessuale e riproduttiva, trattata da Luisella Bosisio Fazzi, che ha osservato come alle ragazze e alle donne con disabilità spesso non venga riconosciuto il diritto di avere una vita sessuale, un partner e dei figli.
I servizi sanitari di ginecologia ed ostetricia sono raramente accessibili o mancano degli idonei dispositivi di supporto tecnico e di assistenza personale, nonostante si tratti di diritti sanciti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità e nella Convenzione delle Nazioni Unite sulla Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne.
Senza parlare delle situazioni particolarmente delicate che riguardano le donne con disabilità che hanno subito violenze, per le quali si aggravano i fenomeni di perdita di autostima e deformazione dell’immagine di sé che si determinano in tutte le donne oggetto di violenza. (Olga Gargano)
Il principio imprescindibile di cui bisogna tenere conto è che le donne con disabilità debbano essere sempre coinvolte nei processi decisionali su qualsiasi aspetto e qualsiasi iniziativa riguardi le loro vite.
“Nulla per le donne con disabilità senza le donne con disabilità” ha ricordato Simonetta Cormaci che ha affrontato alcuni temi molto concreti e avanzato delle proposte per contrastare le multidiscriminazioni delle donne con disabilità.
Partendo dalla constatazione che, negli organi apicali delle associazioni che si occupano di disabilità, la ledership femminile è poco rappresentata, Cormaci ha proposto momenti di discussione e approfondimento tra donne con disabilità, che le aiutino a sviluppare la consapevolezza di sé e a potenziare l’autostima, in modo da poter “scegliere di intraprendere un percorso di vita indipendente”.
A questi momenti di confronto, “utilizzando l’ampia e pluriennale esperienza maturata nell’indagare le questioni di genere”, potrebbero dare un apporto “figure competenti delle associazioni femministe”, che acquisirebbero, a loro volta, fondamentali conoscenze sulla vita delle donne disabili.
Nella sua analisi molto concreta non sono mancate le osservazioni sulla difficoltà che nascono nelle famiglie con figli disabili, in cui i genitori si devono cimentare con problemi di ordine medico e trovare strategie di adattamento delle rispettive esistenze, finendo per accantonare “l’idea stessa di un’educazione alla vita disabile” e trascurando di conseguenza gli aspetti della socializzazione, delle relazioni, della sfera affettiva.
Le donne disabili dovrebbero, inoltre, poter accedere a tutti i gradi di istruzione e formazione professionale e, successivamente, a pari condizioni di selezione, reclutamento e carriera sul lavoro, in modo da poter intraprendere un percorso di vita indipendente.
Ancora, è stato sottolineato come sia vitale che tutti i mezzi di comunicazione e di informazione, gli/le opinion makers e chi opera nei settori della pubblicità, dell’arte, della cultura, della scienza e dello sport, si impegnino per veicolare una rappresentazione della donna e della donna disabile come “soggetto attivo, partecipe dei processi sociali, portatore di potenzialità e mezzi e, naturalmente, di diritti”.
In rapporto a tutto questo appare ancor più inquietante quello che è accaduto recentemente proprio a Simonetta Cormaci che, pur avendo una disabilità importante, ha scelto di vivere una vita indipendente. Lo stallo per disabili di cui è titolare, dopo essere stato abusivamente occupato in diverse occasioni, è stato privato del palo che sosteneva il cartello con il numero di autorizzazione.
Anche in una città dove manca il rispetto delle regole, tagliare ed asportare il palo che indica uno stallo per disabili è un intervento particolarmente pesante, irrispettoso nei confronti della persona interessata ma anche del bene comune, visto che la segnaletica è patrimonio del Comune e quindi dell’intera collettività.
Cormaci l’ha definito un gesto “incivile, violento e vigliacco” e, visto che il coraggio e la determinazione non le mancano, ha raccontato l’episodio sui social e sui giornali e ha presentato una denuncia contro ignoti.
A chi ha agito così per difendere il proprio orticello, dimenticando che le persone con disabilità hanno non singoli disagi, più o meno gravosi, ma una vita intera totalmente condizionata, Cormaci ha risposto, quasi con rabbia, “vuoi il mio posto? Prenditi anche la mia disabilità!”