Oltre 40mila piccoli schiavi già a 6-7 anni si calano nelle gallerie della provincia di Lualaba, in Congo, per scavare a mani nude il cobalto che serve per le nostre batterie, quelle piccole dei nostri smartphone e quelle molto più grandi delle auto elettriche e ibride.
Per una batteria di auto elettrica servono circa dieci-quindici chili di cobalto che, sul mercato occidentale, costano 300-350 euro, ma si ottengono con due giornate di lavoro pagate tra i 3 e 5 dollari.
“Ai piccoli si aggiunge un esercito di sfruttati adulti, circa 160mila uomini e donne, ma anche ragazze che si occupano di selezionare, scartare e lavare il materiale estratto, esposte a ogni sorta di abusi”.
Uno sfruttamento agghiacciante raccontato di recente da Luca Attanasio su Domani (link), ma evidenziato già, qualche anno addietro, dal Whashington Post e ripreso da Repubblica.
In questi ultimi anni la domanda mondiale di cobalto, componente chiave per realizzare le batterie dei dispositivi elettronici e delle auto elettriche, è cresciuta tantissimo.
“Servirà estrarre moltissimo cobalto e farlo a prezzi sempre più bassi per portare sul mercato automobili e oggetti tecnologici per le tasche dei consumatori, anche quelle meno gonfie”, scrive De Agostini su Repubblica.
Non ci sembra tuttavia che sia l’esigenza di mantenere i prezzi bassi a generare lo sfruttamento, quanto la volontà di massimizzare i profitti in tutti i passaggi della filiera, che parte dal Congo e – per il 90% del materiale estratto – finisce in Cina.
Ma vi sono implicate molte tech company, cinque delle quali (Apple, Google, Dell, Microsoft e Tesla) sono state citate in giudizio da 14 genitori di bambini congolesi, che hanno perso la vita o riportato gravi danni fisici, difesi da avvocati della ONG International Rights Advocatesche.
“Le famiglie chiedono i danni per lavoro forzato e ulteriori indennizzi per ingiusto arricchimento, supervisione negligente, imposizione intenzionale di stress emotivo” scrive la Stampa riprendendo la notizia del Guardian.
Questo procedimento giudiziario è un fatto nuovo in una realtà di sfruttamento generalizzato che non riguarda solo il cobalto.
La maggior parte dei prodotti che ci arrivano dal Sud del mondo hanno alle spalle diritti fondamentali calpestati dal sistema predatorio delle multinazionali a cui fanno da sponda governi ed élite locali che da questa complicità traggono vantaggi personali.
La soluzione non può quindi essere quella – rimanendo al cobalto – di non comprare un’auto elettrica, che ha comunque il vantaggio di ridurre l’inquinamento. Possiamo quanto meno non ignorare il problema ed alimentare il dibattito, “per far sì che il tema raggiunga la politica”, come scrive De Agostini.