Chi legge Argo sa che Antonio Mazzeo è per noi una fonte, fondamentale
e credibile, sui temi della pace e del disarmo, ma non solo. Nei giorni
scorsi Antonio ha ottenuto il premio giornalistico Archivio Disarmo –
Colombe d’oro per la pace, un premio che punta a costruire un ponte tra
movimenti e istituzioni sul tema della pace.
Proviamo a discuterne con il “premiato”.
Innanzitutto cosa significa questo riconoscimento dal punto di vista personale
E’ inutile nascondere che è stata una delle sorprese più belle della mia vita. “Sorpresa” perché del tutto inattesa; bella perché la Colomba d’oro della Pace è certamente uno dei premi più prestigiosi nel campo dell’informazione e della cultura di Pace in Italia e all’estero. E poi si tratta di un’opera di uno dei più apprezzati scultori del XX secolo, Pericle Fazzini, consegnata in questi anni a tante delle più importanti figure del giornalismo e del pacifismo.
Le motivazioni della giuria che ha deciso il premio nei miei confronti (composta da Fabrizio Battistelli, Dora Iacobelli, Riccardo Iacona, Dacia Maraini, Andrea Riccardi e Tana de Zulueta) mi hanno profondamente commosso, ma sono state una conferma di ciò che avevo immaginato prima di sentirle a Roma. Si è trattato cioè di una scelta a favore del giornalismo militante e di quella che un tempo veniva definita controinformazione, sempre più rara purtroppo e sempre meno condivisa da chi controlla il sistema radiotelevisivo e dei media. Il riconoscimento cioè di un personaggio noto, che incarna però le aspirazioni collettive di chi nel profondo Sud e nelle periferie dell’Impero si batte da decenni contro i processi di militarizzazione e riarmo del territorio. Un premio cioè a chi in Sicilia, da quarant’anni ormai ha individuato la centralità dell’inarrestabile trasformazione dell’Isola in avamposto di guerra e di morte e delle strette relazioni di questo fenomeno con il dominio socio-economico-politico delle organizzazioni criminali e mafiose.
Anche per questo ho sentito il dovere di dedicare la mia “Colomba d’oro” a tutte e tutti coloro con cui ho condiviso la mia scrittura militante, ricordano altresì tre figure che hanno pagato con la vita la loro capacità di analisi e denuncia del binomio mafia-guerra: l’allora segretario del PCI siciliano Pio La Torre, il direttore de I Siciliani Giuseppe Fava e Mauro Rostagno.
Cosa ti ha lasciato il “clima” della premiazione
Gioia innanzitutto e il piacere di avere avuto modo di conoscere personalmente gli altri premiati 2020, i giornalisti Nello Scavo di Avvenire e Francesca Nava di The Post Internazionale e l’infermiere-fotoreporter Paolo Miranda. Di questi professionisti avevo avuto il piacere di leggere le importanti inchieste sui lager libici per migranti e sulle connection internazionali che assicurano affari e impunità nel settore della tratta (Scavo) o quelle sulle gravissime omissioni di certa politica e sanità in Lombardia che hanno prodotto centinaia e centinaia di morti di epidemia da coronavirus (Nava). E le foto di Miranda, tanto dolorose – ma sempre profondamente rispettose della persona e ricche d’umanità – nei reparti di terapia intensiva contro il Covid-19 di Cremona. Non avevamo mai avuto l’occasione d’incrociare le nostre vite e i nostri sogni, ma alla premiazione, inaspettatamente, Nello, Francesca, Paolo ed io abbiamo condiviso gli stessi timori, il peso e le responsabilità di essere “Colombe d’oro” e di dovere con intransigenza e coraggio provare a moltiplicare i nostri sforzi di narratori e testimoni di pace e giustizia.
Pensi che fra chi si occupa dei temi della pace e del disarmo occorra un migliore coordinamento e in che direzione
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Non è mai stato facile il dialogo tra le diverse anime del pacifismo in Italia, ancora più adesso che l’impegno No War è sempre più minoritario e reso ancora più difficile dalle condizioni di isolamento che ognuno di noi avverte anche in conseguenza dei lockdown e delle misure di “distanziamento sociale” adottate dall’esecutivo e dalle amministrazioni regionali e locali. Per non parlare di come poi la crisi strutturale socio-economica generale, prodotta dal modello neoliberista, abbia reso ancora più “distanti” dall’opinione pubblica generale i grandi temi della guerra globale e permanente, nonostante proprio questa sia una delle cause principali e contemporaneamente frutto del sistema di dominio transnazionale. Il baratro apertosi sotto i nostri piedi, dove il pericolo di olocausto dell’umanità è sempre più evidente e i conflitti e gli attori in campo si moltiplicano con una velocità senza precedenti nella Storia, ci impone però il dovere di continuare a moltiplicare gli sforzi di denuncia e lotta contro ogni guerra. E, contestualmente, di tessere sempre più fili di compartecipazione fra tutte e tutti coloro che ancora sognano di poter consegnare ai propri figli un mondo perlomeno non peggiore di quello che hanno ricevuto dai propri genitori.
Nel passato questi temi hanno avuto centralità e attenzione, perché oggi non è più così
Lo spiegavo prima. La crisi, il sempre più allagamento della povertà e dell’indigenza a livello globale, qui in Italia e nel “ricco” Occidente come sempre di più nel cosiddetto Sud del mondo, rendono meno comprensibili e/o visibili le cause dell’odierno sistema d’ingiustizia e di guerra e le contraddizioni esistenti. A ciò concorre il sapiente e penetrante lavoro di disinformazione degli organi di stampa e dei grandi media che occultano volutamente i drammi in atto, magari trasferendo responsabilità e crimini presunti ai “nemici” di turno, una volta il “dittatore” irakeno o libico, un’altra il “terrorista islamico”, sempre di più oggi l’“immigrato nero”. Di contro, si assiste alla drammatica riduzione degli spazi di agibilità politica e resistenza collettiva.
Se dovessi indicare delle priorità, su cosa ci si dovrebbe concentrare
Credo innanzitutto che giornalisti, operatori socio-culturali, educatori, insegnanti, ecc. debbano rendersi conto che siamo ormai ad un bivio. I processi in atto ci conducono inevitabilmente alla distruzione dell’uomo e del pianeta. Per questo ognuno di noi è chiamato ad opporsi strenuamente ad essi e di provare a costruire reti e processi di pace, disarmo, redistribuzione delle ricchezze e giustizia sociale. Alla premiazione di Roma ho voluto fare un appello a tutte le colleghe e i colleghi giornalisti perché si torni ad essere sempre e comunque scrittori-costruttori di pace contro ogni forma di discriminazione e razzismo, anche disobbedendo a chi nelle redazioni pensa di continuare ad imporre il pensiero unico dominante.
Un appello lo faccio adesso come insegnante: la scuola deve tornare ad essere strumento di trasformazione sociale e democratica, deve ridurre e non accrescere le disuguaglianze e le distanze sociali, ma soprattutto deve opporsi ai piani di occupazione didattico-educativa e “culturale” da parte delle forze armate e/o di polizia, come abbiamo assistito negli ultimi anni. Pax Christi e il MIR – Movimento Internazionale di Riconciliazione, con il sostegno di diverse associazioni No War e dei sindacati di base della scuola, hanno rilanciato la campagna Scuole disarmate per costruire, giorno dopo giorno, con le nostre allieve e allievi, una visione di pace e di sviluppo eco-sostenibile, di giustizia, solidarietà e nonviolenza. Ripudiare e far ripudiare la guerra deve essere il primo compito della scuola dopo l’avvelenamento del neoliberismo, delle privatizzazioni selvagge e dell’ideologia bellico-sicuritaria.