Nell’isola ci sono, infatti, 11.451 operatori bio che coltivano il 33% dell’intera superficie agraria, numeri che ci collocano al primo posto in Italia in questo settore. Una crescita che cammina di pari passo con un progressivo abbandono delle aziende “tradizionali”.
Ma in Sicilia ci sono anche 300 mila ettari di terreni abbandonati dai proprietari e/o confiscati alla mafia.
Secondo l’agenda europea 2030, che indica le strategie per la crescita e l’occupazione mettendo al centro dell’azione la salvaguardia della biodiversità, occorre puntare progressivamente su una produzione in grado di non alimentare sprechi e consumi non sostenibili.
Per recuperare i terreni abbandonati e avviare produzioni virtuose è nato nella Regione il “Consorzio delle cooperative sociali Sud Sud”.
Con un duplice obiettivo: ridare vita a ciò che è stato abbandonato (comprese le aziende sequestrate alla mafia) e avviare percorsi di contrasto al degrado ambientale e sociale. In sostanza, a una produzione attenta alla biodiversità deve corrispondere un impegno sociale in grado di sviluppare processi inclusivi per chi è “rimasto indietro” o è stato emarginato.
Non a caso all’interno del Consorzio coesistono “esperienze” apparentemente distanti fra loro. Accanto alle aziende agricole, infatti, troviamo promotori di fattorie didattiche, operatori impegnati in esperienze di turismo sostenibile e responsabile, comunità e associazioni che si occupano di migranti e, più in generale, dei cosiddetti soggetti fragili.
Non si tratta, quindi, solo di rilanciare processi produttivi, di rivitalizzare il mercato del lavoro, ma c’è, anche, l’ambizione di fare “da levatrice di un nuovo agroecosistema per affrontare le numerose crisi”. Perché, come scrivono i promotori, “per superare le 4 crisi (Ambientale, Economica, Sociale e Culturale) occorra mettere al centro i valori della cooperazione, della trasparenza, della legalità, della solidarietà, della salute e della cura delle persone e della terra”.
Un obiettivo possibile, a quanto dicono, attraverso “l’innovazione dei prodotti, dei servizi e dei processi, delle metodologie di aggregazione e di apprendimento, di sostegno all’ integrazione delle fasce deboli ed emarginate, di governance e di auto-organizzazione in una rete di relazioni dove la resilienza e il benessere dell’individuo coincidono con la resilienza e il benessere di tutti”.
Non si tratta solo di indicazioni generali, condivisibili ma di difficile realizzazione, lo sforzo del Consorzio è indirizzato verso l’individuazione di politiche concrete capaci di tradurre in fatti e comportamenti quanto auspicato.
Ecco quanto elaborato, ad esempio, rispetto al settore avicolo: “il consorzio intende allevare galline ovaiole e galletti, realizzare un incubatoio, allevare i pulcini e coltivare granaglie finalizzate alla produzione di mangimi da integrare all’alimentazione nei campi degli avicoli e distribuirli a tutte le cooperative sociali del consorzio ed alle singole aziende associate. Le cooperative e le aziende conferiranno di rimando al Consorzio, uova e polli che saranno commercializzati, con un unico marchio in un unico disciplinare di produzione bio.
Questo sistema integrato assicurerà lavoro e redditi ai soci delle cooperative sociali, alle aziende partecipanti al consorzio, ai consumatori garantirà prodotti di assoluta qualità e darà contributi positivi all’ambiente attraverso forme di gestione aziendale agroecologiche a impronta ecologica negativa”.
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Ottima occasione di ottimo, sicuro, produttivo lavoro -pel presente, e, soprattutto, pel futuro!- per tanti dei nostri giovani; per gli extracomunitari che vivacchiano "speranzosi"(in che cosa? Boh!), vigilando i semafori delle nostre strade, per i "lavavetri", per i "posteggiatori", abusivi, per tutti coloro, in somma, che la dura realtà della vita spinge, o costringe, ad "inventarsi" quotidianamente qualcosa di "simil lavoro" o da poter definire tale, ahimé! Mario Strano.