Come si vive in un paese in guerra senza arrendersi alla distruzione, alla fame, alla mancanza di libertà?
Ce lo racconta Laura Silvia Battaglia nel suo documentario “Yemen, nonostante la guerra”, che dà spazio all’eccezionalità del quotidiano e ci fa riconoscere la pienezza di umanità che brilla anche in mezzo alle macerie.
Sono vecchi e giovani, a volte bambini, sono uomini e donne, i protagonsiti delle storie di riscatto e di speranza che vediamo sullo schermo.
C’è la ragazza che studia musica e suona il violino, che vuole opporsi alla guerra con l’arte, consapevole del fatto che la società che la circonda non riconosce il valore dello studio della musica e ancor meno accetta che ne sia protagomista una giovane donna. Pacamente coltiva la speranza che “gli altri capiscano”, sa che il suo andare avanti è un seme di cambiamento, un cambiamento che può iniziare solo “da me stessa”.
C’è il suo maestro, che porta avanti la scuola nonostante il parere contrario del governo, perchè “la musica è il linguaggio della pace”, e le donne sono le più idonee a capirlo perchè provano più intensamente le emozioni.
C’è il maestro visionario che ha trasformato la casa di famiglia in una scuola per permettere ai bambini di studiare e avere un futuro diverso; vuole che imparino ad esigere i loro diritti e soprattutto che non divengano facile preda delle milizie che assoldano i loro coetanei.
E il primo diritto è quello alla pace, il più grande desiderio espresso da una sua giovane alunna.
C’è il bambino che aiuta economicamente la sua famiglia, impoverita dalla guerra, vendendo per strada i bastoncini usati in Yemen come spazzolini da denti, perché ogni giorno bisogna scegliere cosa fare dei pochi soldi raggranellati, pagare l’affitto o acquistare il cibo per sopravvivere.
C’è il giornalista che continua a denunciare ingiustizie e abusi, nonostante sia già stato rapito e torturato e tema ogni giorno per la propria vita. Accetta di essere punto di riferimento per chi non vuole rassegnarsi, pur sapendo che molti suoi colleghi sono stati uccisi per metterli a tacere.
C’è il giovane colto che ama la letteratura e il teatro e lotta per promuoverli, le ragazze che fanno le attrici consapevoli di spianare la strada alla conquista di diritti da parte delle donne, il fotografo che custodisce con amore un archivio di immagini che testimonia la storia del paese.
Tutti a coltivare la speranza al di là di ogni speranza, a credere che ancora una volta il loro paese resisterà e, come in passato, “sarà la tomba delle potenze straniere che vogliono conquistarlo”.
C’è orgoglioso senso di appartenenza in queste parole di Laura Silvia Battaglia, che si è confrontata ieri sera con il pubblico che assisteva alla proiezione in piazza Castello Ursino, nello spazio antistante la sede di Gammazita. Accanto a lei Dario Stazzone, presidente della Società Dante Alighieri, e Giovanni Miraglia, che di Battaglia si è definito vecchio amico.
Non sono mancati, nel dibattito che ha preceduto la proiezione, i riferimenti alla vicenda personale della giornalista, già brillante studentessa del nostro Ateneo, interessata soprattutto alla poesia, divenuta poi giornalista freelance e profonda conoscitrice del mondo medio-orientale, in un continuum che è il suo interesse per l’essere umano, così come si rivela nelle situazioni estreme.
Non sono mancate le domande, e le risposte, sui motivi dalle guerra che sconvolge da anni lo Yemen, sui contrasti interni che lo lacerano e su un passato in cui, invece, le differenze, anche religiose, non impedivano a sciti e sunniti (di scuole diverse rispetto a quelle prevalenti in altri paesi) di convivere pacificamente e pregare indifferentemente in qualunque moschea.
Un mondo di relazioni semplici, umane e familiari, già turbato da fenomeni di corruzione interna e definitivamnete sconvolto dall’ingresso di interessi politici ed economici esterni, dall’Arabia Saudita all’Unione Sovietica, dagli Emirati all’Iran, tutti protesi al perseguimento di propri obiettivi, dalla vendita delle armi al controllo strategico dei porti e del petrolio, e pronti ad alimentare separatismi locali sempre più aggressivi e bulimia dei partiti. Con la conseguente distruzione del tessuto sociale, soprattutto dopo il fallimento della Conferenza di Unità Nazionale promossa dall’ONU.
Laura Silvia Battaglia, che conosce bene la società yemenita, di cui ormai si sente parte, ne ha voluto sottolineare la complessità e le sfaccettature, perché non ci si limiti a cogliere la drammaticità della situazione ma si riconosca e apprezzi la vitalità e la ricchezza culturale di un popolo.
E la bellezza che ha saputo produrre, ad esempio quella di Sana’a, la splendida città medievale, conservata intatta per secoli e immortalata da Pier Paolo Pasolini nel suo documentario “Le mura di Sana’a” che voleva essere anche un appello all’Unesco perché ne riconoscesse e protegesse l’unicità.
Davanti alla distruzione che oggi si consuma nello Yemen, Laura Silvia Battaglia è insieme scettica e fiduciosa. Sa bene, e lo ha detto espressamente, che “nessuno ha interesse che questa guerra finisca”,
ma coltiva una speranza, “la guerra finirà quando i padri ameranno i propri figli più di quanto odiano i propri nemici”.
Guarda il documentario dall’archivio di Rai 3