Un disastro ambientale. Così viene definita la situazione del fiume Alcantara in un comunicato delle associazioni WWF Sicilia nord-orientale, Circolo Legambiente Taormina/Valle dell’Alcantara, CAI Catania e Messina, LIPU Catania, FederEscursionismo.
“Il fiume, fatte salve insignificanti risorgenze, è praticamente ridotto ad alcune maleodoranti pozze di acque stagnanti”, leggiamo nel comunicato, in cui si parla anche di una impressionante moria di pesci e di una assenza di acqua che non può essere giustificata solo dal perdurante stato di siccità.
Il motivo viene indicato nel “cospicuo quantitativo di acqua proveniente dal bacino imbrifero” che viene captata per essere convogliata “in una condotta gestita dalla Società Siciliacque per non meglio specificati utilizzi”.
La richiesta finale è quella di far sì che il fiume venga rialimentato e che le concessioni stipulate negli anni passati per l’uso dell’acqua dell’Alcantara vengano riviste, anche alla luce dei cambiamneti climatici in atto.
La situazione descritta è preoccupante e pone interrogativi di non poco conto.
Innanzi tutto su chi sottragga acqua al fiume e per quali usi. La società Siciliacque è autorizzata a farlo, in una certa quantità, da una concessione della Regione siciliana. Ma c’è di più, la Regione stessa detiene il 25% del pacchetto azionario della società e ne nomina il presidente del Consiglio di Amministrazione, anche se l’Amministratore Delegato, che di fatto la gestisce, è indicato dal socio privato, Idrosicilia.
Che la Siciliacque, come si sospetta, utilizzi o meno l’acqua per alimentare una centrale elettrica diventerebbe in certo qual modo secondario, se l’acqua venisse poi riimmessa nell’alveo del fiume in modo da alimentarlo e non lasciarlo morire.
Questo tuttavia non accade, e – per di più – non c’è alcuna certezza che la società capti la quantità di acqua che è autorizzata a prelevare.
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Prima ancora di stigmatizzare la carenza dei controlli, c’è da riflettere su questa tipologia di partenariato pubblico-privato nella forma di società per azioni, in cui il partner privato detiene la maggioranza assoluta e la responsabilità della gestione.
Una modalità di gestione, denunciata fino al giugno scorso dal Forum siciliano dei movimenti per l’Acqua ed i Beni Comuni, che chiede che “sull’Acqua non si faccia più profitto, che la gestione delle Acque a livello regionale e territoriale sia pubblica e partecipata dalle comunità locali” nel rispetto della “volontà Popolare referendaria del 2011” e della legge regionale 19/2015.
Cosa fa la Regione nelle persone del suo Presidente, dell’Assessore all’energia e servizi di pubblica utilità, dell’Assessore al Territorio e Ambiente e di quello all’Agricoltura e Foreste?
Parliamo di assessorati con competenze diverse ma che dovrebbero lavorare in modo sinergico nell’interesse dei cittadini. E interagire con l’Ente Parco.
Quest’ultimo fa presente di aver inviato “agli enti preposti” diverse segnalazioni, rimaste completamente inascoltate. Ne prendiamo atto con soddisfazione anche se ci chiediamo contestualemnte se davvero, anche da parte del Parco, sia stato fatto tutto il possibile per la tutela dell’Alcantara.
“Non possiamo fare morire il fiume” ci dice Giuseppe Rannisi, coinvolto a pieno titolo in questa vicenda sia come delegato Lipu sia come ingegnere idraulico. Le conseguenze sarebbero incalcolabili sotto tanti punti di vista.
Un fiume ha un ruolo centrale in un territorio, ne contrasta il dissesto idrogeologico, ne tutela la vegetazione e gli ecosistemi, ha una funzione paesaggistica e anche turistica, solo per citarne alcune.
Senza acqua un fiume è morto, non ha più nemmeno la capacità di autodepurazione che esercita con la ricchezza di ossigeno delle sue acque e che gli permette di contrastare, lungo il suo corso, anche l’inquinamento.
E, se non c’è il fiume, non ha più senso neanche il Parco Fluviale e l’Ente che deve provvedere alla sua gestione salvaguardandone l’ecosistema fluviale, l’ambiente naturale e il paesaggio, come prevede il suo statuto.