Anche Catania, come tutta la Sicilia, “sarà bellissima”. Parola di Nello Musumeci, che dedica in vero poca attenzione a rifiuti trabordanti, terrirori dissestati, coste depredate, abusivismo edilizio, che forse gli appaiono folcloristici e persino decorativi, e si concentra su demolizioni e ricostruzioni improvvisando, via via, utilizzi e destinazioni di aree o edifici.

Tutto in modo estemporaneo e creativo, da vero dominus del territorio.

Tra i progetti annunciati ecco l’abbattimento dell’ampliamento novecentesco dell’ospedale S.Marta e la creazione di una piazza che – a suo dire – valorizzerebbe la retrostante facciata della ‘villa’ settecentesca, a cui molti catanesi non hanno probabilmente mai fatto troppo caso.

Per l’eliminanzione di un edificio francamente brutto e del tutto fuori contesto, nessuno piangerà e l’idea di una piazza potrebbe non dispiacere ai cittadini catanesi sempre in cerca di spazi di incontro.

Non è stato però chiesto il parere dei cittadini su queste decisioni, ignorando il fatto che ad essi spettano le scelte su cosa fare della propria città.

Nessuno sembra, inoltre, essersi posto il problema della liceità di queste operazioni. Se lo ha detto il Presidente…

Che le cose non stiano proprio così e che il metodo per arrivare a queste decisioni sia errato così come errata. nel merito, è la proposta avanzata, ce lo spiega un appello inviato al presidente della Regione e all’assessore ai Beni Culturali, Alberto Samonà, da parte di cinquanta esperti, architetti, ingegneri, storici, molti dei quali anche docenti universitari.

Nell’appello, sia pure in modo garbato, si ricorda non solo che il presidente della Regione non ha autorità per decidere quello che un Comune deve fare del proprio territorio,si evidenzia anche che, se si vuole intervenire sul costruito, bello o brutto che sia, ci sono dei principi da tenere presenti, delle regole da rispettare.

Un bagaglio ormai condiviso, frutto di riflessioni e di studi, a partire dalla Carta di Gubbio del 1960 a quella di Venezia del ‘64. a quella del Restauro del ‘72, fino alla legislazione vigente sui beni culturali che rende prescrittivi i concetti di “conservazione diffusa” dei manufatti architettonici ed esclude decisamente le “azioni isolate non inserite in un quadro complessivo di trasformazioni urbanistiche”,

All’interno di questo orizzonte, i fimatari dell’appello chiedono che si esca dalla logica dell’emergenza permanente, del sistematico “atto isolato”, per lavorare ad un disegno complessivo di intervento, armonico, integrato e motivato, su tutta un’area del centro storico, fino a via Plebiscito.

Qualcosa come un piano di recupero di un’intera zona, da realizzare anche attraverso un concorso di idee, una occasione unica di ripensamento di tutta un’area cittadina, che comprenda il riutilizzo delle aree ospedaleire dismesse, dal Santo Bambino al Vittorio Enmanuele, ma anche di spazi ancora non risolti come quello della Purità.

Un progetto definito, anbiziosamente, come “omogeneo, serio, condiviso e durevole”.

Qualcosa di ben diverso dall’intervento improvvisato, privo di analisi attenta del contesto e dei singoli contesti, che può alterare incongruamente un tessuto urbano storicamente definito.

La creazione della piazza davanti alla facciata della villa settecentesca del Santa Marta non si pone, ad esempio, come una forzatura, un vulnus? La piazza, come vuoto, non è forse anch’essa un’opera architettonica, in questo caso arbitraria e non adeguatamente giustificata?

Quell’area della città non prevedeva, infatti, questo genere di vuoti, essendo stata pensata e realizzata come una serie di edificazioni a cortina lungo gli allineamenti stradali.

La facciata originaria della villa (al di là della incauta attribuzione a Vaccarini fatta da Musumeci) era concepita come affaccio su una corte interna, non sull’esterno, su cui prospettava un fronte che andrebbe eventualmente ricostruito.

Ma c’è un altro grave problema che viene posto dai firmatari dell’appello, a partire dal fatto che la normativa vieta interventi di questa natura in zona A, cioè in pieno centro storico.

Ammesso che l’intervento prospettato da Musumeci sul Santa Marta possa essere giustificato come dettato da esigenze pubbliche, non si crea un precedente che aprirebbe la strada ad analoghi, illegittimi interventi privati che altererebbero il tessuto del centro storico?

Per coerenza amministrativa, come non consentire, ad esempio, la demolizione di un edificio in via Etnea o in via Garibaldi e la sua ricostruzione arretrata rispetto all’allineamento preesistente?

Leggi il testo dell’appello

Leggi i nomi dei firmatari

Argo

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