E mentre aumentano, alla spicciolata, gli arrivi dalla Tunisia, si precisa un altro aspetto dell’ambigua e preoccupante relazione che lega italiani e libici, con un ruolo non secondario di Catania.
“Tra le persone che Malta, dopo l’uccisione di Caruana Galizia, avrebbe voluto vedere con i sigilli ai conti corrente ci sono l’ex calciatore Darren Debono e i suoi associati, tra i quali l’uomo d’affari Gordon Debono e il libico Fahmi Bin Khalifa. Nomi che tornano spesso.
I tre, con il catanese Nicola Orazio Romeo, sono sotto processo perché ritenuti responsabili di un ingente traffico di gasolio sottratto ai giacimenti libici sotto il controllo della milizia Al-Nasr, quella del trafficante-guardacoste Bija e dei fratelli Kachlav”, scrive Nello Scavo su Avvenire.
Il problema, però, non è circoscritto all’evasione delle imposte sugli idrocarburi (circa 10 miliardi di euro), in Libia accade molto di più.
Infatti, questo contrabbando di petrolio rappresenta una sorta di risarcimento ottenute dalle milizie libiche (famose per gestire veri e proprio campi di tortura, dove sono prigionieri tantissimi migranti che sperano di approdare in Europa) in cambio della garanzia di una minore frequenza nelle partenze dei barconi. Un risarcimento condiviso con faccendieri maltesi e mafia siciliana.
Non è improprio, perciò, parlare di una vera e propria Libia connection.
“L’episodio chiave – prosegue Nello Scavo – è del 2017, quando la procura di Catania porta a termine l’operazione Dirty Oil, che ha permesso di scoprire – ricorda la Dia – un traffico di petrolio importato clandestinamente dalla Libia e che, grazie ad una compagnia di trasporto maltese, veniva introdotto sul mercato italiano sfruttando il circuito delle cosiddette pompe bianche”.
Ricordiamo, peraltro, che la giornalista Daphne Caruana Galizia venne uccisa proprio nel 2017, pochi giorni prima che la retata confermasse le sue denunce.
In particolare, sottolinea Scavo, “dallo stabilimento di Zawiyah, il più grande della Libia, praticamente a ridosso del più affollato centro di detenzione ufficiale per migranti affidato dalle autorità ai torturatori che rispondono sempre a Bija, l’oro nero viene sottratto con la complicità della “Petroleum facility guard”, un corpo di polizia privato incaricato dal governo di proteggere il petrolchimico. Ma a capo delle guardie c’è proprio uno dei fratelli Kachlav.
Il porto di Zawyah è assegnato alla ‘Guardia costiera’ che, neanche a dirlo, è comandata sempre da al Milad, nome de guerre ‘Bija’, nel 2017 arrivato con discrezione in Italia durante il lungo negoziato per fermare le partenze dei migranti”. Tanti (oltre 40) sono i depositi illegali, mentre piccole navi cisterna e/o pescherecci gestiscono il trasporto via mare. Secondo l’ONU, almeno 500 persone “lavorano” in questo, per così dire, settore; ovviamente senza che nessuna autorità libica si accorga di ciò che accade.
“Il collegamento tra mafia libica e mafia siciliana per il tramite di mediatori della Valletta – conclude Scavo- è confermato da un’altra rivelazione contenuta nel dossier consegnato al Palazzo di Vetro a fine 2019. A proposito della nave “Ruta”, con bandiera dell’Ucraina, sorpresa a svolgere attività di contrabbando petrolifero, gli investigatori Onu scrivono: ‘Secondo le indagini condotte dal Procuratore di Catania’, il vascello è stato coinvolto in operazioni illegali, compreso il trasferimento di carburante ad altre navi, «in particolare la Stella Basbosa e il Sea Master X, entrambi collegati alla rete di contrabbando di “Fahmi Slim” e, secondo quanto riferito, ha scaricato combustibile di contrabbando nei porti italiani in 13 occasioni”.
In sostanza siamo in presenza di un vero e proprio patto fra mafie contro il quale si spera nell’efficacia dell’operazione navale europea Irini.