Un giovane capodoglio è stato liberato a fatica da una rete da pesca illegale, al largo di Lipari, e non è ancora certo che si salverà.
Ad avvistare il cetaceo e a mettere in moto la macchina dei soccorsi, coinvolgendo la Guardia Costiera di Lipari e successivamente il Lipari Diving, sono stati alcuni membri della Filicudi Wildlife Conservation, associazione no profit impegnata nello studio e nella conservazione delle risorse marine dell’arcipelago delle isole Eolie.
Quest’associazione è uno dei partner (come anche Legambiente) del progetto Life Delfi, coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e finanziato dall’Unione Europea, che vuole ridurre le interazioni tra cetacei e pesca professionale, per evitare che soprattutto i delfini vengano catturati accidentalmente o rimangano feriti.
Life Delfi mira anche a tutelare i pescatori, le cui attrezzature possono essere danneggiate o il cui pescato predato dai cetacei, e soprattutto a formarli nell’uso di tecniche di pesca meno impattanti con l’ecosistema marino.
Sin dal 2002 l’Unione Europea ha vietato l’uso delle lunghissime reti derivanti, dette anche ‘da posta’, sostenute in alto da galleggianti e trattenute in basso da piombi, che vengono tese verticalmente in acqua, formando uno sbarramento che viene chiamato ‘muro della morte’.
In queste reti incappano tutti i pesci in transito, anche le specie protette, come i cetacei e le tartarughe marine.
L’uso di reti ‘da posta’, come quella in cui è incappato il nostro capodoglio, è quindi illegale anche se i pescatori, non solo italiani, cercano sempre nuove strategie per aggirare i divieti.
Eppure allo smantellamento e riconversione di queste tecniche sono stati destinati, da molti anni, cospicui fondi europei.
L’uomo oggi dimostra di potere salvare un cetaceo, dopo avere ignorato per secoli di salvare se stesso ed oggi perfino il pianeta nelle sue mani.