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La scuola post Covid? Abbandonata a se stessa

“..si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”. Le parole di Fabrizio de André in Don Raffae’ descrivono perfettamente l’atteggiamento dell’attuale governo, e del ministero dell’Istruzione in particolare, di fronte al problema di una ripartenza sicura della scuola.

Le attuali indicazioni ministeriali sono chiarissime: invitano scuole e amministratori locali a cavarsela da soli come meglio possono.

Modifichino pure orari, giorni (se non si usa il sabato, è data liceità di farlo), location (con pratiche convenzioni con altre risorse del territorio… quando ci sono); uniscano pure le classi, le rimescolino. Si partirà in presenza e la scuola superiore potrà ricorrere in parte alla DaD (Didattica a distanza). Raramente è stata mostrata da un governo cotanta benevola magnanimità.

Una cosa è chiara, il costo sarà prossimo allo zero, il governo riserverà alla scuola solo le briciole. Non bidelli, non docenti, aule o banchi in più, per garantire a settembre un ritorno in sicurezza.

Le regioni dichiarano che spesso le cubature delle aule sono sufficienti. Perché no? Basta non pretendere che ci sia un solo alunno per banco. Ragionando per metri quadri, la forma è salva. Quanto meno nei casi in cui gli spazi ci sono. E dove non ci sono?

La realtà è che bisognerebbe iniziare da un censimento della situazione reale. Ci sono scuole con classi piccole e aule piccole, scuole con classi numerose, ma una ricchezza di aule, laboratori, palestre. Anche nella stessa provincia di Catania le realtà sono diversificate.

E’ difficile, però, immaginare che senza nessun tipo di investimento la scuola possa essere a settembre più sicura che a marzo.

Molte realtà probabilmente avrebbero bisogno “solo” di banchi individuali. Tutte avrebbero bisogno di altro personale, docente e Ata, quest’ultimo spesso già insufficiente a garantire allo stesso tempo il controllo dell’ingresso e il controllo dell’accesso ai bagni.

Qualsiasi discorso serio avrebbe bisogno di ricognizione, pianificazione, risorse.

Molto meglio affidarsi, come sempre, alla buona volontà del personale delle scuole e ai sacrifici delle famiglie. Da una nazione che si distigue per essere l’ultima in Europa nella spesa dedicata al’istruzione, non potevamo aspettarci nulla di diverso.

I giovani e la formazione non sono la priorità.

Qualcosa può cambiare solo se la società civile si fa sentire. I nostri figli sono il nostro futuro e settembre è dietro l’angolo.

Oggi, 25 giugno, in tantissime città italiane ci saranno manifestazioni di docenti, personale ATA, studenti e genitori per i quali è chiaro che a settembre sarà impossibile iniziare l’anno scolastico in condizioni di sicurezza.

Se già prima della pandemia la maggior parte degli edifici scolastici non godeva di spazi adeguati alla normativa, con l’inizio del nuovo anno scolastico non sarà possibile soddisfare le esigenze di maggiore distanziamento fisico.

Le manifestazioni vogliono ribadire, inoltre, che la Didattica a Distanza è stata solo una risposta emergenziale, utile esclusivamente a mantenere vivo il dialogo scolastico-educativo. La scuola è un’altra cosa, è relazione, empatia, contatto, non è addestramento e si può fare solo in presenza. In sostanza, bisogna superare l’emergenza educativa per far sì che in classe gli studenti acquisiscano il sapere necessario per partecipare criticamente ai processi storico-sociali.

A Catania l’appuntamento è in piazza Università alle ore 18,00

Queste le parole d’ordine – secondo i promotori – per far ripartire a settembre la scuola in sicurezza:
– Investire risorse per almeno 15 miliardi di euro. Anche sfruttando, soprattutto nel meridione, i fondi strutturali del periodo 2014-2020 ancora non utilizzati
– Ridurre il numero di alunni per classe (max 15)
– Un piano straordinario per l’edilizia scolastica: per ristrutturare i locali in uso e individuarne nuovi, recuperando il patrimonio immobiliare pubblico sfitto e determinando grandi opportunità occupazionali
– Assumere immediatamente tutti i precari, Docenti e ATA, con almeno 36 mesi di servizio. Se non verrà fatto a settembre mancheranno circa 200.000 dipendenti
– Dire No ai piani Colao, Bianchi e dell’ANP (Associazione Nazionale Presidi) sulla scuola, il cui comune denominatore, figlio dei desiderata di Confindustria, è il pieno compimento del processo di gerarchizzazione e aziendalizzazione iniziato con l’autonomia scolastica
– Dire No a qualunque forma di esternalizzazione del lavoro docente e ATA, assumendo a tempo indeterminato tutto il personale che, senza dipendere dal MIUR, lavora nelle scuole (assistenti alla autonomia, alla comunicazione ecc.)
– Ridare centralità alle esigenze degli alunni diversabili, tra i più discriminati dalla Did a Distanza
– Estendere il tempo pieno in tutte le regioni d’Italia
– Dire No alla distruzione del gruppo classe e alla costituzione di classi omogenee per livello: ogni idea di scuola è idea di società
– Dire No alle ore di 40 minuti
– Dire No al finanziamento delle scuole private

E, per finire: la ministra Azzolina, che non ha rispettato nessuna delle sue promesse e ha ottenuto per la scuola la metà dei fondi stanziati per Alitalia, non è in grado di far ripartire la scuola in sicurezza e si deve dimettere.

Lo sostengono: Cobas Scuola, La Città Felice, La Ragnatela, Cobas Asacom Scuola, Partito Comunista Italiano, Partito della Rifondazione Comunista, Red Militant, Rete Antirazzista Catanese, LILA-Lhive Catania, Fronte della Gioventù Comunista, PMLI, Sinistra Anticapitalista, Comitato in Difesa della Costituzione, Comitato contro l’Autonomia Differenziata, Liberi Pensieri Studenteschi.

Argo

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