Sono state distribuite decine di tende e sacchi a pelo a migranti che, anche se in possesso di un permesso di soggiorno, non hanno un regolare contratto di lavoro e sono nelle mani dei caporali.
Percepiscono un salario (che dovrebbe essere di 6 euro e venti all’ora per una giornata lavorativa di sei ore e mezza) di 30/40 euro al giorno per 9/10 ore di lavoro, per riempire almeno 100 cassette del peso di 20/22 chili.
“Facciamo appello all’Amministrazione Comunale ed all’associazionismo siracusano solidale, affinchè si provveda al più presto all’iscrizione anagrafica dei migranti che ne fanno richiesta, si distribuiscano i fondi regionali per il coronavirus a partire da chi ne ha più bisogno e si inizino a costruire moduli abitativi in modo che non ci si risvegli l’anno venturo scoprendo un’ennesima “emergenza” per l’arrivo dei migranti stagionali”, scrive la Rete.
Cogliamo l’opportunità di questa giornata per interrogarci sulla regolarizzazione di alcuni lavoratori stranieri (agricoltura, colf e badanti), contenuta nel decreto rilancio e fortemente voluta dalla ministra Bellanova, ma che rischia di rivelarsi un flop.
La finestra temporale per chiedere la regolarizzazione, aperta dal 1 giugno, si doveva chiudere il 15 luglio ma la scadenza è stata prorogata al 15 agosto a causa del piccolo numero di richieste avanzate. Neanche 10.000 rispetto alle 250mila che ci si aspettava.
Hanno cercato di spiegarne il motivo, qualche giorno fa, su Radio Tre, nella trasmissione “Tutta la città ne parla”, l’avvocato Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’ASGI, il sociologo Maurizio Ambrosini dell’Università di Milano, studioso di migrazioni, Yvan Sagnet co-autore camerunese del libro “Ghetto Italia. I braccianti stranieri tra capolarato e sfruttamento”.
Unanime il giudizio che si tratti di una legge fatta male, che non risponde a nessuno degli obiettivi che si proponeva di raggiungere, né quello della emersione del lavoro nero, né quello della tutela sanitaria delle persone migranti, e quindi di tutti noi, in tempi di pandemia.
Una legge che non induce i datori di lavoro a regolarizzare i lavoratori stranieri, innanzi tutto perchè troppo costosa.
Il datore di lavoro deve infatti sborsare non solo un contributo forfettario di 500 euro ma anche una ulteriore somma, ancora da determinare con una ordinanza interministeriale.
Un onere non indifferente soprattutto per lavori agricoli quasi sempre temporanei, a volte limitati anche ad uno o due mesi.
Chi partecipa alla raccolta dei pomodori, si sposta poi su altri campi per quella delle olive o delle patate, passando da un datore di lavoro ad un altro, e nessuno di questi, neanche il più liberale, ha interesse a regolarizzare un migrante che oggi lavora per lui e subito dopo si sposterà in altro luogo a lavorare per altri, quasi sempre senza nessuna specializzazione, quindi facilmente sostituibile con chi sta in coda ad attendere di essere chiamato.
La vera novità sarebbe stata di concedere un permesso di soggiorno temporaneo per cercare lavoro. Ma non è così, il permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi è dato a chi può dimostrare di avere già lavorato o documentare, attraverso un contatto con organismi pubblici, la propria presenza pregressa.
In questa legge, nata male innanzi tutto perchè figlia di un compromesso tra forze politiche non concordi sul tema, manca la regolarizzazione fatta sulla base della presenza in quel momento, chiesta da molte associazioni. Anche perchè, in questo caso, non c’era da limitare nessuna corsa (come accaduto in sanatorie precedenti) ad entrare in un paese bloccato per la pandemia.
Altro errore gravissimo di questa legge è quello di avere vincolato il diritto soggettivo dello straniero (il diritto a regolarizzarsi), alla volontà del datore di lavoro che non ha alcun interesse a farlo.
L’intervento è stato deciso per soddisfare le ‘nostre’ esigenze, come quella di non far andare a male i raccolti oppure di non lasciare soli i nostri anziani, magari già affezionati ad una badante verso la quale nutrono fiducia.
C’è poi da dire, come ha testimoniato Sagnet, che a molti migranti che lavorano nei campi e vivono in ghetti isolati, lontani dagli strumenti di informazione, non è arrivata nemmeno la notizia di questa sanatoria.
Una regolarizzazione, quindi, inefficace e miope, che ha escluso altri settori produttivi, come l’edilizia, la logistica, la ristorazione, in cui gli stranieri sono molto presenti.
Tra i motivi che possono spiegare i numeri ridotti di richieste pervenute – secondo Ambrosini – c’è anche la stima non realistica del numero dei migranti irregolari presenti in Italia.
Si parla di circa 600mila persone, un numero a suo parere stimato in eccesso, anche per finalità di propaganda politica.
Molti degli immigrati che passano dall’Italia, ricorda lo studioso, vanno poi oltralpe, dove erano spesso diretti già in partenza. E dove sempre di più si vanno spostando perchè la situazione italiana, dal punto di vista del lavoro, è sempre meno attrattiva.
Nell’immaginario della gente il numero alto di immigrati è legato alle notizie sugli sbarchi, da cui provengono in verità solo un parte dei migranti presenti nel paese, che, nell’opinione comune, sono perlopiù maschi, giovani e africani, mentre i dati ci dicono che l’immigrazione è prevalentemente europea, femminile e cristiana. Altro che problema di identità etnica e religiosa…
Molto realistico, invece, il vero e proprio mercato dei contratti che si è aperto, di cui ad Argo arriva notizia da chi opera nel settore a livello nazionale.
Mentre il datore di lavoro onesto non ha alcun interesse ad aderire alla sanatoria, i datori di lavoro disonesti, la stragrande maggioranza di coloro che impiegano stranieri in agricoltura, sfruttando proprio la loro condizione di irregolarità, cercano di trarre ulteriore profitto dalla vendita di contratti di lavoro ad hoc per fare le domande di emersione. Con un tariffario che cambia da regione a regione e può andare da 2000 fino a 6000 euro.
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Grazie per l'informazione utilissima.
Come trasformarla in una iniziativa pratica?