Una stima del Politecnico di Torino prevede il consumo mensile di 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti, un quantitativo assai elevato che comporta gravi problemi per l’ambiente.
Come afferma Donatella Bianchi, presidente del WWF, “Se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura, questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Considerando che il peso di ogni mascherina è di circa 4 grammi questo comporterebbe la dispersione di oltre 40mila chilogrammi di plastica in natura: uno scenario pericoloso che va disinnescato”.
Indotto dal timore che questi presidi possano essere infetti e trasmettere il Covid, l’Istituto Superiore di Sanità indica delle linee guida per organizzare la raccolta differenziata.
Chi è positivo al Covid deve interrompere la raccolta differenziata e gettare tutto nell’indifferenziata in più sacchi, uno dentro l’altro. I non positivi al coronavirus possono continuare a fare la raccolta differenziata ma, per precauzione, devono gettare mascherine e guanti nell’indifferenziata, in almeno due sacchi uno dentro l’altro.
Ma è proprio inevitabile usare mascherine usa e getta producendo comunque rifiuti ed aumentando la quantità di plastica con cui già abbondantemente inquiniamo il nostro mare e il nostro territorio?
Ormai per fortuna si vedono di frequente mascherine lavabili fatte in casa o messe in circolazione da artigiani. Abbiamo già parlato di quelle realizzate dai ragazzi dell’IPM per se stessi, per il personale, per il Centro Astalli, per le famiglie. Mascherine lavabili a norma sono state realizzate anche da varie ONLUS come la Telethon che le fornisce in cambio di un piccolo contributo di due euro.
Quelle realizzate in casa o artigianalmente, oltre ad essere lavabili e non inquinanti, sono anche simpatiche, colorate, personalizzate, e utili allo scopo. Non dimentichiamo infatti che lo scopo delle mascherine è quello di limitare l’impatto, su chi ci sta vicino, delle micro goccioline che emettiamo quando parliamo o ridiamo o tossiamo.
La normale mascherina protegge quindi non chi la indossa ma colui che gli sta di fronte; se tuttavia la indossano entrambi, il vantaggio diventa reciproco e la sicurezza cresce.
Essendo realizzate in poliestere, una materia termoplastica che non resiste a temperature superiori a 60 gradi, non possono essere sterilizzate con lavaggio ad alta temperatura e neppure con l’uso di candeggianti forti. Anche un lavaggio energico a freddo ne danneggerebbe le fibre riducendo il loro potere filtrante.
Il metodo per sterilizzarle o – come ormai si dice – sanificarle ce lo suggerisce la rivista medica Journal of Hospital Infection pubblicata da Elsevier, un editore di testi medico-scientifici, per conto della Healthcare Infection Society.
Nel volume n.104 del 2020 (pagg246-251). Spiega che la carica virale dei coronavirus viene abbattuta dall’alcool etilico (il comune alcool denaturato) a 90 % in 30 secondi, ed in 10 minuti da una soluzione dello stesso alcool al 70 %. Risultati analoghi si ottengono con l’alcool isopropilico.
Sulla base di queste premesse, vi suggeriamo in pratica cosa fare. E’ sufficiente, dopo l’uso, mettere le mascherine in un barattolo da 1 litro con coperchio a tenuta, versarvi un cucchiaio di alcool e chiudere bene. L’alcool riempirà il barattolo del suo vapore, disinfettando la mascherina, senza che sia necessario immergerla completamente.
Per sentirci più sicuri, possiamo lasciare la mascherina dentro il barattolo per qualche ora o anche per tutta la notte. Al mattino la estraiamo, la lasciamo esposta all’aria per alcuni minuti, in modo da far evaporare tutto l’alcool, e poi la indossiamo regolarmente, avendo l’accortezza di tenerla dagli elastici ed evitando di toccarla con le dita, soprattutto se non sono pulitissime.
Rimane infatti fondamentale l’avvertenza, di cui tutti ormai abbiamo fatto tesoro, che lavare bene le mani resta il modo migliore per proteggersi dal virus.
Sterilizzare le mascherine chirurgiche, vendute come monouso, comporta anche un risparmio per le nostre tasche, soprattutto se lavoriamo fuori casa e dobbiamo cambiarle spesso. Tenendone alcune a portata di mano, possiamo anche disinfettarle due o tre alla volta, con il metodo appena descritto.
Quanto ai guanti monouso, inizialmente considerati un utile presidio di protezione, sappiamo già che l’Organismo Mondiale di Sanità è giunto alla conclusione che possono essere controproducenti, perchè danno una falsa sensazione di protezione e di sicurezza.
Indossarli, come leggiamo sul sito dell’OMS, può “aumentare il rischio di infezione, dal momento che può portare alla auto-contaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso”.
Nel caso fossimo costretti ad usarli in alcuni ambienti dove vige ancora la regola di indossarli, teniamo presente che possiamo disinfettarli e riutilizzarli, invece di buttarli via. Basta infilarli e poi lavare bene le mani (e quindi i guanti) con il sapone, secondo le procedure raccomandate dal Ministero della salute.
In alternativa, sulla base dei risultati riportati nella pubblicazione appena citata, si possono tenere immersi per 20 minuti in una soluzione di candeggina diluita allo 0,2 % (circa 50 cc di candeggina del supermercato in 1 litro d’acqua di rubinetto).
Ormai, però, l’uso dei guanti viene imposto molto raramente e viene raccomandata, nei locali pubblici, come i supermercati, l’installazione di distributori di igienizzanti delle mani all’ingresso e all’uscita. L’igiene delle mani resta infatti – insieme al distanziamento fisico – un fondamentale strumento di prevenzione. Che ha il vantaggio di non riempire il mare di altra plastica.
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