Riace, il sindaco Lucano aveva ragione. Ma è troppo tardi

Lo Sprar di Riace non doveva essere smantellato. Così si è pronunciato il Consiglio di Stato lo scorso 28 maggio con una sentenza che respinge il ricorso in appello del Viminale contro il sistema di accoglienza del comune reggino.

Una battaglia durata 2 anni che vede vittorioso il Comune di Riace e che, soprattutto, svela l’intento espresso di colpire personalmente l’ex sindaco Mimmo Lucano e screditare l’idea di comunità inclusiva e solidaristica che il “modello Riace” simboleggia in Italia e in Europa.

Il Consiglio di Stato, infatti, giudica sleale e sproporzionato il provvedimento con il quale a ottobre 2018 il Ministero dell’Interno, retto da Matteo Salvini, ha revocato il rinnovo del finanziamento dello Sprar di Riace concesso a dicembre 2016. Punto di vista da sempre sostenuto dalla nostra redazione e da molte altre realtà italiane e internazionali cui abbiamo dato voce.

“In un sistema di cogestione connotato dal principio della leale collaborazione”, si legge in sentenza, “l’Amministrazione Statale prima di adottare qualunque misura demolitoria deve attivarsi per far correggere (all’Ente locale) i comportamenti non conformi, operando in modo da riportare a regime le eventuali anomalie”. Il Ministero dell’Interno, invece, fece proprio il contrario e agì a tradimento nei confronti del Comune di Riace.

La revoca del finanziamento del progetto Sprar, infatti, si basò esclusivamente su una nota del gennaio 2017 inviata dal Ministero al Comune di Riace nella quale si indicavano sinteticamente le criticità rilevate nel progetto durante gli anni precedenti senza tuttavia individuare concreti punti critici e, soprattutto, senza indicare il termine entro cui provvedere alla risoluzione di tali criticità.

Peraltro, date alla mano, questa nota fu inviata dopo solo un mese dall’adozione del provvedimento ministeriale che aveva rifinanziato il progetto Sprar. Insomma, conclude il Consiglio di Stato, “Se si considera il contesto temporale nel quale la nota è stata trasmessa, il tenore dell’atto, la carenza di un formale espresso riferimento alla natura di avviso di diffida e la mancata rispondenza ai requisiti di forma (…), a tale atto non può attribuirsi un valore diverso da quello di una nota volta a richiamare l’attenzione dell’amministrazione comunale sull’esigenza di porre rimedio alle criticità riscontrate nel precedente triennio, che peraltro non avevano comportato il rifiuto di ammettere il progetto al contributo per il triennio successivo”.

Il sorriso, però, è amaro: a pagare il prezzo di questa ingiustizia non è il Ministero dell’interno o il leader della Lega Matteo Salvini, ma i migranti che sono stati costretti a lasciare Riace e quelli che vi avrebbero potuto trovare accoglienza in questi anni; i riacesi che, insieme al lavoro, hanno perso l’unica vera misura di contrasto allo spopolamento della città; le casse del Comune che avevano anticipato i soldi del progetto Sprar e Mimmo Lucano, ancora sotto processo.

Accogliamo con plauso questa sentenza, alla quale però devono seguire immediate misure attuative affinchè non rimanga lettera morta. Se c’è ancora qualcuno disposto a ricostruire il “modello Riace” deve essere messo nelle condizioni materiali di poterlo fare.

Argo

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  • Non avevamo dubbi che il BULLO PADANO abbia commesso uno dei suoi più gravi atti per mettere in ombra il sindaco Mimmo Lucano e per infliggere ai poveri immigrati una cattiveria senza senso. Purtroppo non pagherà per il suo atto di
    gratuita cattiveria. Quando sarà il momento dovrà risponderne al Padre Eterno e giustificare anche il furto di 49 milioni di euro.

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