Chiuse per disposizione ministeriale tutte le attività, i corsi, la scuola, vietati i colloqui con i familiari e l’ingresso dei volontari, il personale presente in numero ridotto, a turno, mentre gli altri lavorano da casa. Una prospettiva da incubo per i reclusi ma anche per chi da anni si occupa di loro impegnandosi ad offrire attività che costituiscano occasioni formative ed esperienze stimolanti, particolarmente significative per chi viene da contesti poveri, sul piano economico ma anche culturale.
Ed ecco che Maria Randazzo, che dirige da anni l’istituto con la sua équipe di educatori, la dirigente penitenziaria Letizia Bellelli, il cappellano Francesco Bontà, il mediatore culturale Abdullah Jourairi, che da tempo collabora con l’istituto, cominciano a lavorare di immaginazione e provano a fare fiorire il deserto.
Intanto battono tutti sul tempo, attrezzandosi a velocità record per fornire ai ragazzi strumenti che permettano di collegarsi a distanza alle famiglie: computer, tablet, telefonate più frequenti. Con l’effetto non solo di compensare la grave perdita di momenti essenziali per i giovani reclusi, ma di offrire un’occasione per imparare cose nuove e acquisire dimestichezza con i mezzi elettronici.
Non solo. Chi avrebbe provveduto alla pulizia degli indumenti personali a cui in genere pensano le famiglie? Si prova a fare una convenzione con una lavanderia esterna, ma non è una soluzione soddisfacente. Vengono allora acquistate lavatrice e asciugatrice che alcuni ragazzi imparano ad utilizzare e a gestire per sé e per i compagni di istituto, acquisendo competenze pratiche di tutto rispetto.
Quelli che studiano cominciano intanto a seguire le lezioni a distanza (utilizzando gli strumenti elettronici di cui sopra), altri si occupano di curare il verde degli spazi esterni facendo un po’ di giardinaggio. Ma c’è anche un’altra idea che si fa strada, quella di un laboratorio di cucito per realizzare le mascherine che servono ai ragazzi stessi e al personale.
Il pensiero di un laboratorio di cucito frullava da tempo nella mente di Abdullah, che fa il mediatore con i ragazzi stranieri ma è vicino e attento a tutti i giovani reclusi. Adesso è il momento giusto per provare a realizzare questo progetto, con una finalità pratica condivisa. E parte la caccia alle macchine da cucire e alle stoffe.
Abdullah sa cucire e ha anche una vecchia macchina, ma di mascherine non ne ha fatte mai. Bisogna darsi da fare, applicarsi, provare. I ragazzi più curiosi si interessano e aderiscono alla proposta, il cappellano coinvolge le sue parrocchiane e procura stoffe e un paio di macchine in disuso.
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Alla campagna di reclutamento aderisce anche il Centro Astalli e destina al progetto le risorse riservate alla seconda parte di un corso di cucito che il lockdown non permette di avviare. C’è la possibilità di acquistare due macchine moderne, taglia e cuci, più adatte alla bisogna e di comprare belle stoffe colorate presso la comunità senegalese.
Una parte delle mascherine realizzate andrà quindi ai volontari del Centro che si apprestano ad aprire la loro sede, chiusa anch’essa per l’epidemia da Covid 19, e contano anzi di averne un numero sufficiente per poterle fornire anche a rifugiati e migranti che hanno nell’Astalli un punto di riferimento e ne frequentano sportelli e servizi.
Le prime mascherine intanto sono già in uso all’interno dell’IPM, alcuni ragazzi si sono resi conto di avere abilità mai immaginate, ancora una volta non hanno solo riempito il loro tempo ma hanno imparato e scoperto cose nuove e anche se stessi.
Dalla prossima settimana ripartiranno i colloqui con le famiglie, anche se ancora con alcune limitazioni e molte regole da rispettare. Non è escluso che i nostri apprendisti artigiani, oltre alla gioia di rivedere i familiari, avranno quella di offrire a loro le colorate mascherine lavabili a marchio IPM.
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