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Coronavirus, tra paure e voglia di futuro

Difficile ragionare sul Coronavirus, non c’è dubbio, infatti, che siamo di fronte ad una situazione complessa e anche contraddittoria, con dati che vengono letti e confrontati, nello stesso mondo scientifico, in maniera non univoca.

Alcuni fatti sono però sotto gli occhi di tutti. Il nostro sistema sanitario pubblico nazionale regge con grande difficoltà l’urto dell’epidemia. Una situazione che non stupisce chi ha denunciato i tagli al personale e alle strutture che sono stati realizzati (governi di centrosinistra e centrodestra) negli ultimi dieci anni.

Decine di migliaia di lavoratori in meno, “razionalizzazione”, ovvero chiusura di strutture e reparti, investimenti annuali addirittura inferiori al tasso di inflazione.

Si parla di 37 miliardi di euro sottratti in 10 anni alla sanità pubblica, di diminuzione del numero dei posti letto pro-capite (scesi da 7 a 3 ogni mille abitanti, contro il 5 ogni mille dell’Unione Europea, 8 su 1000 in Germania), di riduzione dei posti in terapia intensiva (passati da 575 ogni centomila abitanti agli attuali 275), particolarmente importanti nel contrasto al Coronavirus, e che oggi si progetta di aumentare insieme alla dotazione di ventilatori polmonari, anch’essi non adeguati alle esigenze.

E’ stata l’emergenza ad evidenziare, agli occhi di tutti, i problemi accumulati dalla sanità pubblica italiana, in passato una delle migliori del mondo, e a mettere in discussione la scelta di favorire la crescita delle strutture private che stanno dando un contributo minimo al contenimento dell’epidemia.

Una situazione che, se procederà l’infausto progetto di regionalizzazione, non potrà che peggiorare, introducendo nuove divisioni in Italia, dove già le regioni meridionali hanno posti letto e attrezzature sanitarie in numero inferiore a quelli del Nord. Con la conseguenza che un diritto costituzionale, quello alla salute, diventerebbe non più universale ma “diversamente fruibile” secondo la regione di residenza.

Altro fatto oggettivo, le conseguenze economiche dell’epidemia. Conseguenze che stanno mettendo a nudo le falle di un sistema sempre più caratterizzato dalla precarietà dei rapporti di lavoro.

Sono in grande sofferenza soprattutto tutti i lavoratori il cui salario è legato esclusivamente allo svolgimento della prestazione (dai riders agli assistenti alla comunicazione delle scuole). Niente ordini/consegne e attività didattica sospesa, per tutti questi lavoratori significa niente salario.

Lo stesso vale per alcuni autonomi, i ‘piccoli’, le partite Iva perlopiù forzate, e altre categorie fragili, compresi i dipendenti più esposti al licenziamento . A furia di perdere diritti, in nome di una modernità che oggi dimostra tutte le sue debolezze, il lavoro ha perso dignità e centralità.

Anche senza ipotizzare la necessità di un cambiamento di sistema (la tentazione è forte), non c’è dubbio che in assenza di un new deal, di un rilancio generalizzato dello stato sociale e di una redistribuzione di reddito e ricchezze, la crisi determinerà drammi per i “soliti noti”, mentre i più potenti socializzeranno fra tutti, come sono abituati a fare, le loro perdite.

Infine, la chiusura delle scuole, esplicitamente motivata dalla necessità di ridurre i potenziali contagi ed evitare l’implosione del sistema sanitario. Al di là della efficacia del provvedimento, che è, per ammissione del governo, un ulteriore effetto negativo dei tagli sociali di cui abbiamo parlato, si tratta di una misura che ha colpito l’opinione pubblica, innanzitutto per il numero dei soggetti coinvolti,.

Di fatto, in nome della emergenza, vengono proposte modalità di didattica a distanza a cui docenti e alunni non erano preparati e che – piuttosto che unire – rischiano di creare ulteriore divisioni e differenze.

Differenze tra i docenti, alcuni dei quali stanno vivendo queste nuove forme di didattica in modo molto superficiale, come una vacanza,. Altri si sentono, invece, così coinvolti dalla necessità di seguire puntualmente ogni singolo alunno, monitorando costantemente i feed back alle proprie indicazioni, da aver dilatato moltissimo il tempo dedicato alla scuola, per giunta in un momento in cui la presenza a casa dei propri figli accresce anche le responsabilità genitoriali.

Anche tra gli alunni emergono differenze importanti e si creano situazioni pressochè irrisolvibili. Non tutti i bambini/ragazzi hanno a casa un computer e un accesso ad internet. L’uso – in alternativa – dello smartphone pone anch’esso dei problemi, sia perchè non è alla portata di tutti sia perchè non è adatto a svolgere alcune attività, come la scrittura di testi lunghi o impegnativi.

Essendo la classe una comunità educante, la didattica a distanza, con la mancanza della presenza fisica e del rapporto diretto, richiede un ripensamento, una ricerca di soluzioni a cui la maggior parte dei docenti non era preparata, al di là dei facili entusiasmi e delle semplicistiche bocciature.

C’è un percorso da intraprendere, all’interno del quale nessun Dirigente Scolastico può decidere d’autorità l’articolazione del lavoro e ogni scelta va fatta “nel rispetto dei compiti e delle prerogative degli organi collegiali”. Senza che prevalga l’esigenza di dimostrare che si “fa qualcosa”, che si sta vendendo un prodotto.

Un importante pedagogista, Giuseppe Bretagna, descrive così la situazione attuale: “ Le scuole si stanno muovendo inviando sempre più lezioni e compiti da fare: non è questa la strada giusta. Maria Montessori spiegava che per avere qualcosa di buono a distanza devi sempre collegarti a una presenza. Le maestre della primaria, soprattutto, mandino messaggi personali ai loro alunni, in accordo con i genitori, per chiedere come stanno, non per caricarli di esercizi. Ciascun bambino deve capire che la maestra pensa a lui e, insieme, a ciò che lui può imparare dalla situazione in cui si trova […] Per i vostri figli sia l’occasione per imparare a gestire situazioni gravi”.

“Con i preadolescenti è più complicato, una buona soluzione è il lavoro domestico: fateli stirare, rifare il letto, portateli a lavare l’auto. Anche da come si deve far bollire l’acqua per la pasta s’imparano importanti nozioni di scienze”.

In sostanza, ricordiamoci che gli studenti non sono sacchi da riempire, ma soggetti che devono crescere sperimentando autonomia e affinando le capacità critiche.

Argo

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