Viaggiare in Sicilia nell'Ottocento

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sala conferenza L’Italia fu meta agognata di tanti giovani rampolli delle famiglie nobiliari d’oltralpe a partire dalla metà del ‘600 fino ad Ottocento inoltrato. Gli inglesi, i francesi e poi successivamente i tedeschi, attraversavano l’Europa per completare qui la loro formazione culturale.

I più si fermavano a Napoli, ma dopo il 1750 la Sicilia diventò meta imprescindibile, “il fiore del quale l’Italia funge da stelo”, come ebbe a scrivere uno di questi viaggiatori, particolarmente impressionato dalle bellezze dell’isola.

Sì, perché non era raro che durante questi viaggi, che potevano durare pochi mesi ma anche alcuni anni, questi gentiluomini e gentildonne si prendessero la briga di tenere dei diari sui quali annotare le loro impressioni riguardanti l’arte, i paesaggi, gli abitanti dell’isola. Stiamo parlando del noto fenomeno del Grand Tour, termine usato per la prima volta da un inglese nel lontano 1670 che tanta fortuna ebbe nei seguenti due secoli di storia europea delle classi agiate e colte.

E del Grand Tour ha parlato, leggendo stralci di diari e delineando il fenomeno con dotte informazioni, Francesco Calì, segretario generale dell’Accademia Zelantea, invitato domenica scorsa dall’Associazione Etnaviva di Trecastagni a raccontare di viaggi e viaggiatori, stimolato dalle domande puntuali del presidente dell’Associazione Andrea Giuffrida.

Non tutti quelli che scelsero di raggiungere la Sicilia avevano gli stessi interessi. C’erano gli appassionati della classicità, che andavano in estasi per i templi di Girgenti ed il teatro di Taormina, per esempio, e tra loro alcuni ottimi artisti che disegnarono e dipinsero monumenti noti e meno noti, tramandandoci lo stato in cui si trovavano nei secoli scorsi.

E c’erano i Romantici, che cercavano piuttosto il paesaggio pittoresco, selvaggio, l’atmosfera esotica.

Da isola negletta, e anche un po’ temuta, la Sicilia cominciò quindi ad attrarre visitatori grazie alle grandi scoperte archeologiche, che rinfocolarono l’interesse per la Magna Grecia, e poi all’esplosione del Movimento Romantico, con il suo amore per le terre “autentiche”, ancora incorrotte dalla civiltà moderna, qualità che gli intellettuali nordeuropei ravvisavano evidentemente nell’isola.

Non tutti i visitatori avevano la voglia ed il coraggio di attraversare la Sicilia a dorso di muli, su lettighe, in carrozza: le strade, quando c’erano, erano disagevoli, i territori infestati dalla malaria, ed i siciliani, incorrotti ed autentici potevano pure piacere e incuriosire, ma, come tutto ciò che è selvaggio, quando si fa troppo vicino incute paura, e il timore dell’ignoto spesso prevaleva sull’amore per il pittoresco.

tavolo relatori Molti, quindi, da Napoli raggiungevano l’isola in nave e poi con la speronara, battello a vela e remi tipico della Sicilia e di Malta, facevano il periplo dell’isola visitando le città e i monumenti lungo le coste.

Naturalmente nei loro diari non mancavano di esprimere un giudizio sulle locande, alcune famosissime, delle città visitate, e sui luoghi di ristoro frequentati. Alcuni di questi resoconti di viaggio venivano stampati e tradotti in varie lingue, e raggiungendo così una diffusione non trascurabile, contribuivano a stimolare la curiosità di tutta una classe sociale che non vedeva l’ora di visitare i luoghi descritti desiderosa, come scrive un viaggiatore, di “provare sensazioni nuove”.

Non sempre le sensazioni provate erano positive e accanto ai “dolci languori “, “le mille e una meraviglie” che penetrano gli animi, c’è spazio per il disgusto che suscitano la ferocia degli sguardi degli accattoni affamati che si disputano il soldo caduto nel fango, la bruttezza delle vecchie sdentate che tendono la mano davanti agli usci di casa, i bambini sporchi e scalzi che attorniano il visitatore in un assedio lamentoso.

Alcune di queste letture temiamo siano dei veri e propri “falsi”: il grande Dumas, romanziere autore dei Tre moschettieri, descrive nel suo scritto la città di Acireale nella quale gli storici, per quanto hanno potuto ricostruire dei suoi spostamenti, dubitano sia veramente stato. Paul de Musset, fratello del più noto scrittore Alfred, nel suo secondo libro sulla Sicilia descrive la costa che da Siracusa, passando per Licata, Girgenti, Trapani, arriva a Palermo.

Le sue descrizioni sono vivide ed interessanti, ma probabilmente attinte da libri altrui ed abilmente riscritte, perché De Musset quella parte della Sicilia non la visitò mai, preferendo fermarsi a Siracusa e di lì ritornare indietro fino a Messina per ripartirsene lungo lo stivale, dopo aver giudicato troppo stancante, probabilmente anche troppo temerario, continuare il viaggio.

Una visita a parte meritava naturalmente il territorio Etneo, il più salubre, anche se la sua popolazione veniva giudicata la più selvaggia e furfantesca. E non furono pochi quelli che si accinsero a scalare l’Etna, anche se non sempre le numerose spedizioni andarono a buon fine. E, visti i tempi, ci riempie di soddisfazione apprendere che coraggiose ed emancipate donzelle, non scortate da uomini, intrapresero la scalata con successo.

C’è anche qualche studioso che è venuto per approfondire le sue conoscenze sulla coltivazione della vite, e sulla produzione della seta, lasciandocene dettagliati e precisissimi resoconti.

Infine, per chi volesse approfondire, Francesco Calì, a conclusione della bella serata, raccomanda una visita alla biblioteca Zelantea di Acireale, fondata nel 1671, la più antica di Sicilia ed una delle più antiche d’Europa, custode di preziosissime testimonianze di questa grande tradizione culturale.

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