Perchè il terrorismo è esploso negli ultimi anni in questo piccolo paese africano considerato privo di risorse?
Questo ed altri interrogativi sono emersi durante l’incontro, fortemente voluto da Pax Christi, che venerdì sera ha appassionato la comunità parrocchiale di SS. Pietro e Paolo e tutto il pubblico intervenuto in via Siena.
L’impegno della comunità di SS. Pietro e Paolo in Burkina Faso è iniziato 25 anni fa, attraverso l’Onlus Burkina, appositamente creata.
Con un coinvolgimento via via crescente, si è passati dalle adozioni a distanza allo scavo dei pozzi per l’acqua, alla creazione di un reparto di pediatria, alla promozione dell’alfabetizzazione di base fino al protocollo di intesa con due università locali per garantire ai giovani provenienti dalle famiglie più povere di proseguire gli studi conseguendo una laurea, a condizione che restassero in Burkina Faso almeno per i successivi cinque anni.
Una presenza, quella della comunità catanese nel paese africano, sempre meno di tipo assistenziale e sempre più finalizzata a stimolare la partecipazione dei locali e la loro crescita, come è accaduto – ad esempio – nella realizzazione dei pozzi ormai opera di tecnici locali che hanno acquisito le competenze necessarie.
Perchè questa esplosione di violenza in uno stato marginale dell’Africa, di piccole dimensioni, con un’economia povera e un sottosuolo considerato povero di risorse?
Le risposte vanno ricercate nella storia passata ma anche nell’osservazione del presente.
A partire dalla appartenenza del Burkina Faso all’area francofona delle ex colonie francesi dell’Africa occidentale, insieme a Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Guinea etc, tutti stati che hanno ottenuto faticosamente l’indipendenza ma non sono per questo divenute veramente autonome.
Gli accordi di cooperazione firmati da questi stati con la Francia li condizionano, infatti, ancora oggi in modo pesante, soprattutto dal punto di vista economico.
Gli 11 punti di questi misteriosi trattati, che Argo ha trovato citati in dettaglio solo nel sito di AfricaNews, vanno dal pagamento del cosiddetto debito coloniale (una sorta di rimborso dei benefici della colonizzazione, es. la costruzione di infrastrutture) al riconoscimento del controllo francese sulle risorse naturali.
Questi paesi africani devono, inoltre, depositare le proprie riserve monetarie nazionali nella Banca centrale francese, inviare in Francia il budget annuale e il report sulle loro riserve; sono obbligati ad usare la moneta coloniale francese, il FCFA, e devono riconoscere la priorità delle imprese francesi negli appalti pubblici.
La Francia si riserva anche il diritto esclusivo a fornire equipaggiamento militare, ad intervenire militarmente per difendere i propri interessi in questi paesi che, dal canto loro, devono rinunciare a siglare alleanze militari senza il consenso della Francia e sono obbligati ad allearsi con essa in caso di guerre o crisi globali.
Come costruire, a queste condizioni, un paese realmente autonomo e autosufficiente?
Ormai la coscienza dei limiti posti da questa dipendenza si fa sempre più forte e, di recente, sono state anche le massime autorità di questi stati a prendere posizione sulla criticità della situazione, pur consapevoli del rischio che corrono, considerato che tutti i capi di stato che hanno cercato di intraprendere strade alternative o si sono rifiutati di accettare accordi capestro sono stati uccisi o scalzati da colpi di stato.
Di recente il presidente del Ghana ha avuto il coraggio di dire che “dopo 60 anni di autonomia dipendiamo ancora dalla CEE”, di fatto dalla Francia, ma adesso “il nostro destino non dovrà più dipendere dal contributo francese”, perchè “abbiamo il 30% delle riserve aurifere mondiali, siamo il continente più giovane” e vogliamo che i nostri giovani restino qui invece di rischiare la vita sui barconi.
Le domande aperte sono molte, a partire dal possibile collegamento tra l’esplosione del terrorismo e la corsa all’accaparramento di risorse vecchie (oro, manganese) e nuove.
Sono stati, infatti, recentemente individuati due grossi giacimenti di petrolio, a grande profondità.
Non pare sia questa la linea dell’attuale presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kaborè, che si è pronunciato per l’autonomia del paese in un momento in cui si pone il problema del rinnovo del trattato con la Francia.
Il sospetto che la crescita esponenziale degli attentati terroristici serva a chi vuole bloccare l’azione del governo non è peregrino.
Nel corso di una intervista, alla domanda sul motivo per cui il terrorismo fosse esploso dopo la caduta del precedessore Compaoré (in carica per 27 anni e responsabile della morte di Sankarà) e sulla possibilità che l’ex presidente tenesse rapporti con i gruppi terroristici, Roch Maroc ha pacatamente risposto che “è un fatto”, quindi non una diceria.
Un quadro composito quello emerso da questo incontro molto coinvolgente, coordinato da Andrea Garnieri, responsabile del gruppo parrocchiale che intrattiene rapporti con il paese africano, e arricchito dalle testimonianze e dalle riflessioni di un ospite burkinabé di grande esperienza, amico di lunga data della parrocchia, Roland Kima, direttore delle Scuole Diocesane di Koupela.
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il terrorismo è esploso e non sarà mai domato fino a quando l'Africa non cessa di essere spogliata dai briganti occidentali che le rubano tutte le materie prime impiegate nei prodotti elettronici , generati dal capitalismo .Siamo proprio noi i veri responsabili della fame dell'Africa.