Cosa hanno in comune Attilio Bertolucci, Gozzano, Pavese, Verga?
Nel romanzo “La solitudine dell’orso” (Scatole Parlanti) ccompagnano Andrea Alba (giovane docente catanese di Discipline Letterarie in una scuola torinese) nel suo primo mpegno arrativo.
Insieme a loro, alcuni autori stranieri, schierati criticamente rispetto al loro presente, Brecht, Coe, Vonnegut.
Come si può leggere nella quarta di copertina, “un gruppo di amici e compagni d’università decide di partire per una vacanza alla fine della sessione d’esami. Con un vecchio furgone e un’idea esagerata di libertà, scelgono di attraversare le radure selvagge di una Sicilia magica. […] Li accomuna la passione per la letteratura e il cinema, l’impegno sociale e politico in un’Italia che sembra sempre immobile e la voglia di scoprire il mondo, ma presto invece scopriranno se stessi, fuori dal guscio protettivo della loro rassicurante relazione”.
Accanto ai riferimenti letterari, con un ruolo forse ancora più significativo, molte citazioni musicali. Si tratta, come scrive l’autore, di “brani che danno un senso alle storie che leggiamo, a quelle che scriviamo e soprattutto a quelle che viviamo”.
Segue, nei titoli di coda (definizione più che pertinente, visto che non mancano, lungo tutto il racconto, i riferimenti al cinema d’autore) un elenco particolareggiato: dai Sonic Youth a “The Boss”, dai Talking Heads a Bonobo.
In sala un pubblico che per età e esperienze, tranne qualche rara eccezione, non poteva non riconoscersi nelle parole di Alba. E nelle contraddizioni su cui l’autore ha cercato, quasi fosse, ma non lo è, un osservatore esterno, di ragionare rappresentandole ‘oggettivamente’.
Così, in tanti momenti, è sembrato di partecipare a un’assemblea studentesca universitaria dove, forse anche per il tempo trascorso, non emergevano ruggini e dissidi, ma una reale condivisione, un linguaggio comune e un po’ di nostalgia.
Ma torniamo al libro. La vacanza ha come meta un ‘luogo del cuore’ per più generazioni di ventenni catanesi. Porto Palo di Capo Passero (SR) e le stupende spiagge che circondano tutta la zona, miracolosamente sfuggite, grazie all’istituzione della riserva naturale di Vendicari, alla speculazione.
Alla complicata, e talvolta culturalmente arrogante, spensieratezza dei vent’anni, “avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita” (Paul Nizan), segue quel ‘destino’ di precarietà che, nel tempo del neoliberismo, sembra ineluttabilmente accompagnare le giovani generazioni. Una precarietà che non necessariamente deriva da mancanza di lavoro o da una occupazione a tempo determinato e con bassi salari, ma che finisce per rappresentare la cifra stessa del contesto generale in cui si vive.
E, infatti, c’è chi rimane in Città, e chi cerca altrove di dare un senso al proprio percorso di formazione. Ineluttabilmente, il gruppo si disperde e anche quando un lutto costringe tutti i componenti a riunirsi occorre prendere atto che non si è più gruppo. Come ci ricorda un filosofo amato negli anni della ‘contestazione’, si è diventati ‘serie’.
La scena conclusiva non poteva che svolgersi sul ponte del traghetto che riporta due dei protagonisti ‘nel continente’, con la voce narrante che si sfiora “il petto fin sotto la camicia, solo per sentire se laggiù, tra i grumi di quel vecchio cuore, una molla si smuove oppure no”.
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Ho ordinato una copia, in libreria non si aspettavano tanto successo non aspetto l'ora di leggerlo.