L’idea era quella di raccontare all’incontrario il dramma dei migranti, facendone protagonista un italiano ritrovatosi casualmente in Africa per sfuggire alla voragine di debiti derivati dal rovinoso fallimento di un bislacco progetto imprenditoriale.
Nella ricostruzione delle peripezie per riportare il protagonista in patria, vengono intrecciati – in modo non sempre felice – elementi molto diversi tra loro.
Da un lato i drammi che rendono invivibile la condizione umana in Africa: la povertà estrema, le guerre civili, il terrorismo islamico, la mancanza di prospettive delle giovani generazioni infatuate dei miti della cultura del ricco Occidente.
Dall’altro, il tentativo di mettere alla berlina molti, forse troppi, aspetti del costume italiano: i parenti-serpenti che si augurano la morte del protagonista per non essere coinvolti nel suo fallimento economico, il fascismo latente e sempre pronto a far capolino, il colonialismo paternalistico, l’arrogante improntitudine di certa nuova classe politica emergente, la banalità dei suoi miti di cartapesta gonfiati dalla pubblicità.
Il tutto, però, accostato e sovrapposto in modo superficiale e raramente capace di incidere con efficacia, come invece era accaduta in altri suoi precedenti film.
Qualche critico ha voluto evocare il modello de ‘La vita è bella’ di Benigni, come tentativo di rileggere con leggerezza e delicatezza, senza negarne la gravità, un epocale dramma umano, ma la distanza dal modello ci sembra netta.
Il film, infatti, non riesce né a far ridere né a far piangere; solo, di tanto in tanto, a far sorridere e, solo di sfuggita, a far riflettere.
Ne risulta una lettura epidermica e banalizzante della tragedia dell’emigrazione che appare descritta più come una sorta di viaggio-avventura un po’ straccione quasi casualmente interrotto da alcuni contrattempi, piuttosto che come tentativo, troppo spesso a rischio di morte, di sfuggire ad una esistenza priva delle più elementari garanzie di dignità umana e civile.
Il tutto concluso con un improbabile ‘festival delle contaminazioni’ messo in scena, chissà perché, in una piazza di Trieste, al cui interno si sta girando lo spot pubblicitario di uno dei miti fatui della cultura occidentale – una crema di bellezza – con protagonista la ritrovata morosa africana, che pure era stata descritta come donna forte e generosa impegnata nell’aiutare a far emigrare il figlio orfano di una sua cara amica. A suggello di una singolare incoerenza narrativa.
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Vorrei dissentire da questa stroncatura : io da più di 20 anni "accompagno" gli immigrati nel percorso ad ostacoli che è il loro inserimento in Italia e ho trovato il film geniale.
Innanzitutto per l'ammiccante video musicale che ne ha preceduto l'uscita preparandogli il terreno (con temi assolutamente non trattati nel film) creando una polemica che probabilmente ha indotto a vedere il film una gran quantità di spettatori che altrimenti non sarebbero andati a vederlo e sono tutti quelli che non vedono certamente gli ottimi programmi sugli immigrati fatti su RAI 3 da Riccardo Iacona o su la 7 da Formigli, così come non leggono l'Espresso e i reportages di Fabrizio Gatti e di conseguenza sentono soltanto la realtà manipolata da Salvini,Meloni & c.
E il fatto che si sia prestato Mentana lo dimostra...
Ho trovato geniale il rigurgito mussoliniano che si manifesta come una possessione diabolica che il bimbo tenta di fare "arretrare":"Il fascismo è come la candida" resterà nella nostra testa come "la corazzata Potemkin è...ecc ecc"
Perfetta la classe politica italiana magnificamente rappresentata dall'aspirante guardia municipale e l'improvvisazione al potere(la Farnesina,le truppe italiane "brava gente"...)
Tristemente reale la semplificazione in migranti forzati e migranti economici fatta dall'UNHCR e dallo IOM e smentita dallo stesso Zalone che dichiara laconicamente ad entrambi "lo sono".
Realissimo anche lo squallido personaggio dell'intellettuale francese, cinico e interessato professionista dell'immigrazione( in gran numero,come i professionisti dell'anti-mafia).
Insomma Checco Zalone mi è sembrato un comico che fa ridere ma non ha nessuna voglia di ridere e che non fa sconti a nessuno, da nessuna parte stia.
E d'altra parte i continui richiami all'ignoranza del personaggio con le citazioni di Roma città aperta, di Mamma Roma e Il tè nel deserto, evocano Dino Risi ed Ettore Scola.
Il Centro Astalli ha mandato tre migranti con storie estremamente diverse a vedere il film : un mediatore culturale della Guinea Konakri che ha fatto un viaggio durato anni e ha vissuto tutte le esperienze più atroci ( il muro di Melila,la schiavitù in Algeria,le prigioni in Libia ,il viaggio nella carretta del mare); un tirocinante del Senegal che è arrivato comodamente in aereo con un visto turistico alla scadenza del quale è rimasto qua in clandestinità e infine un volontario di servizio civile del Mali arrivato qua minorenne e dunque tutelato ed ospitato fino al compimento del 18° anno di età e dopo messo alla porta dall'oggi al domani.
Vi manderemo le loro recensioni: penso che sarà interessante sapere cosa ne pensano loro.
Elvira Iovino
Io questo film ancora non l'ho visto, ma mi sembra che si stia perdendo il punto chiave: è Checco Zalone! Tocca sempre temi importanti in modo caricaturale, macchiettistico e superficiale. Ovunque se ne sta parlando come di un gran film di Pasolini o un deludente film di Rossellini (a seconda delle tifoserie), ma invece è sempre Zalone! Anche negli altri film tocca tematiche come l'omosessualità, il razzismo dei settentrionali verso i merdionali, l'autismo, ma lo fa sempre in modo estremamente demenziale, che fa riflettere solo chi già riflette di suo. Per parafrasare Bennato: "... Sono solo canzonette..."