Raccontiamo oggi un’odissea che potrebbe anche risultare divertente ma è invece drammatica, non solo perchè riguarda le disposizioni sulle cure da ricevere nel caso di una futura, eventuale incapacità di autodeterminarci, ma anche perchè descrive – attraverso un esempio concreto – l’inadeguatezza dei nostri uffici pubblici.
Due amiche, di cui una non vedente, decidono di depositare le proprie DAT, Disposizioni Anticipate di Trattamento, presso l’ufficio competente.
Finchè sono lucide e in grado di intendere e di volere, vogliono approfittare della possibilità di dare indicazioni sui trattamenti sanitari che vogliono ricevere o escludere, usufruendo del diritto riconosciuto dalla legge n.219 del 22 dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. Quello che chiamiamo testamento biologico o biotestamento.
Un argomento che ci riguarda tutti ma di cui poco si parla, forse perchè tendiamo a rimuovere l’idea della fine della vita e della fase difficile che spesso la precede.
Si tratta comunque di questioni complesse che coinvolgono l’etica e si legano a temi delicati come il fine vita, il suicidio assistito e l’eutanasia, all’attenzione generale in casi particolarmente gravi, come recentemente a proposito della vicenda Cappato – dj Fabo, su cui si è espressa anche la Corte Costituzionale.
Dal punto di vista pratico, le nostre amiche tramite una ricerca su internet hanno appreso che il documento in questione va presentato alla Direzione Servizi Demografici del Comune, Decentramento Statistica, di via La Marmora.
Ecco il racconto della loro avventura.
Solertissime, un giovedì mattina, dopo avere scaricato dal sito del Comune le “Disposizioni anticipate di trattamento” e avere notato con un certo stupore che sono diverse da Comune a Comune, ci rechiamo agli uffici di via La Marmora.
Primo impatto negativissimo è con i tanti posteggiatori abusivi che decidono come e dove tu debba parcheggiare.
Secondo impatto kafkiano con il grande cartellone che, in varie lingue, ti spiega dove sono dislocati i vari uffici: lo leggo ad alta voce per avere il conforto spirituale della mia amica (che è non vedente) ma entrambe, nonostante gli studi sicuramente sufficienti a comprendere un cartellone, rimaniamo piene di dubbi.
Sotto il cartello c’è un gruppetto di immigrati che ci pone diverse domande, a molte delle quali non riusciamo a rispondere.
Ci incamminiamo pur con molti dubbi verso quella che speriamo essere la meta, ma ecco in agguato una lunga scala in discesa con corrimano interrotto da grandi colonne: a me gira un pò la testa (73 anni e una labirintite) e la mia amica è non vedente (come vi ho già detto) e allora, secondo la migliore tradizione dell’orbo e dello sciancato, decidiamo di prendere l’ascensore ma ci blocca un vistoso cartello di “fuori servizio”. Terzo impatto negativo.
A questo punto sarebbe un’ottima idea evitare i gradini e percorrere la scivola per disabili se non somigliasse a una lunghissima pista da bob olimpica che per superare un dislivello di pochi gradini disegna un improbabile otto infinito che sembra un quadro di Escher. Quarto impedimento.
Ci avventuriamo giù per le scale mentre io descrivo minutamente alla mia amica la desolazione delle aiuole incolte e piene di erbacce alte un metro in quello che potrebbe essere un bel posto…
Arriviamo finalmente dall’Ufficiale di Stato Civile, che dopo averci fatto accomodare ci dice che le disposizioni opportunamente compilate devono essere fotocopiate così come i documenti d’identità del dichiarante e del fiduciario nonché le loro tessere sanitarie. Tutte indicazioni che potrebbero essere anticipate sulla pagina del sito del Comune dedicata all’argomento.
Chiediamo se per caso, viste le difficoltà che sicuramente avrà notato, può concederci di fare le fotocopie. No, la fotocopiatrice è rotta da tempo…, ma se facciamo circa 500 metri fuori dagli uffici c’è un tabaccaio che fa le fotocopie. Quinto impedimento.
Facciamo a ritroso tutto il percorso augurandoci di tutto cuore che sia una balla quella della fotocopiatrice rotta perchè sarebbe oggi impensabile far funzionare un ufficio senza fotocopiatrice.
Ci incamminiamo verso il tabaccaio che è davvero lontanissimo e può essere raggiunto solo camminando in mezzo alla strada perchè il marciapiedi è tutto occupato da autovetture ben custodite dai posteggiatori abusivi.
Il tabaccaio è zeppo di gente che gratta e non vince o che fa la fila per le fotocopie.
Non c’è un tavolinetto né una piccola mensola dove compilare le D.A.T., quasi come se il tabaccaio l’avesse fatto apposta.
Con vera difficoltà compiliamo le due D.A.T. nominandoci reciprocamente fiduciarie e, dopo più di mezz’ora, finalmente con le fotocopie in mano e imprecando contro lo spreco di carta, rifacciamo il percorso ad ostacoli incontrando sempre persone col naso all’insù che cercano di interpretare il cartellone, stranieri disperati che vagano ovunque e vecchietti che aiutiamo a scendere le scale fingendo sicurezza.
Ritorniamo dall’ineffabile ufficiale che finalmente ci dà le ricevute dopo avere messo vari timbri come un notaio e averci fatto firmare anche dove non è stato previsto e non c’è affatto lo spazio per la firma, cosa che ovviamente è riuscita particolarmente bene alla mia amica non vedente ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
Abbiamo finito: ultima ciliegina sulla torta la risposta alla domanda “ne vengono molte persone a depositare le D.A.T.?”, “no, nessuno, solo i testimoni di Geova”.
E così, soddisfattissime e confortate, ci avviamo verso il posteggio dispensando le solite informazioni a destra e a manca.
Non so a quale numero di impedimento siamo arrivate ma l’ultimo è sicuramente lo scambio di cortesie col posteggiatore al nostro rifiuto di dargli i soldi.
Almeno morire sarà più facile (di vivere a Catania)