Di Catania divenuta ‘città nera’, dominata dalla pietra lavica, e non più ‘bianca’ per l’abbondanza di acque, ci parla la seconda parte del documentario di Antonio De Luca, sulla grande eruzione dell’Etna del 1669.
Dopo il racconto della colata nel primo video, abbiamo adesso un ampio excursus sulle eccezionali conseguenze di quello straordinario evento che ha cambiato i connotati ad una parte significativa del territorio catanese.
Si comincia dai numeri: la durata dell’eruzione, la stima del volume del materiale emesso, la quantità di terreno ricoperto, i paesi distrutti, ecc.
Segue un cenno alle conseguenze che ha avuto in particolare sulla città di Catania, che restò separata fisicamente dalla Piana, sua principale fonte di traffici commerciali e di approvvigionamento alimentare.
Sui poveri terreni lavici, ormai fuori dalla cerchia delle mura di Carlo V, nacquero nuovi quartieri popolari, quelli che tuttora sono alla destra di via Plebiscito, andando dai Cappuccini fino alla Pescheria.
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Un discorso che potrebbe ancora essere approfondito, sia per la parte relativa ai paesi etnei distrutti e ricostruiti sia per quella riguardante la sostanziale modifica dell’assetto urbanistico di Catania, rimasto essenzialmente inalterato anche dopo il successivo terremoto del 1693, con la sola sostituzione della cinta muraria con quella sorta di circonvallazione ante litteram che fu la via Plebiscito.
Segue, nel documentario, una rassegna delle poche tracce che ancora restano visibili dell’eruzione: i monti Rossi, il santuario di Mompileri, i resti della vecchia Misterbianco, …
E naturalmente non poteva non concludersi con un cenno al famoso affresco di Platania sempre visibile nella sacrestia della Cattedrale di Catania.
Rivedendo tutto l’ampio materiale che De Luca ci ha fatto scoprire non può non nascere un rammarico, anzi due.
Innanzitutto per la comprovata insensibilità dei catanesi verso la storia della propria città che ha portato alla distruzione di tante tracce di questo eccezionale evento.
E poi per la persistente incapacità di valorizzare quel poco che resta, creando, per esempio, un percorso museale diffuso nel territorio che aiuti i catanesi stessi a farne memoria e i turisti a conoscere e approfondire la conoscenza della città.
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