Un pubblico attento, ed è sabato sera, pende letteralmente dalle labbra dei tre uomini che il giornalista de La Sicilia Mario Barresi pungola con domande e commenti.
Buio in sala, riflettori puntati sul palcoscenico, svetta su tutte la voce ben impostata e l’eloquio fluente di Fava; con le sue pause incisive, i silenzi ben calibrati, le ripetizioni suadenti, è difficile non lasciarsi irretire dalla sua arte retorica.
Perfettamente a suo agio sul palcoscenico, è comunque lui il piatto forte della serata poiché l’occasione dell’incontro è la presentazione dei suoi libri “Terra di nessuno.Viaggio tra le guerre dimenticate ” e soprattutto “La mafia comanda a Catania, 1960-1991” .
O per meglio dire di libri che vengono ripresentati, dato che sono stati scritti quasi 30 anni anni fa. E da queste pagine, stralci delle quali vengono lette da Barresi, traggono spunto i commenti ed i confronti con l’oggi: cosa è cambiato? Cosa è rimasto uguale?
Alla “Catania raggiante” degli anni ‘60 si contrappone il declino odierno, fatto talmente plateale che nessuno dei tre intervenuti osa smentire.
Fava parla di una vera “vocazione” della città ad ospitare una governance mafiosa, punto apicale di ogni affare, che ha assoggettato tutte le istituzioni fino ad arrivare a costituire un sistema di governo collaudato che domina ormai senza bisogno di violenza o ricatti. Il tutto agevolato dalla storica rassegnazione, quando non indifferenza, dei cittadini.
Di questo oligopolio, o comunque di questa economia fortemente infiltrata da attività mafiose, parla anche Ardita, ponendo l’accento soprattutto sulla irrisolta questione sociale che da sempre tormenta la città e contribuisce al perpetuarsi di enormi ingiustizie.
Il continuo trasferimento di risorse finanziarie dal Sud al Nord non potrà poi che completare quest’opera di disfacimento. Caserta lancia un invito al rettore Priolo ad osare una vera svolta, perché senza il cambiamento la fine dell’università catanese non tarderà ad arrivare.
Ardita rivendica i successi della magistratura succedutisi dal 1985 in poi grazie ad un pool di giovani ed agguerriti, oltre che coraggiosi, magistrati. Tra il ’93 ed il ’97, ricorda, l’intero sistema politico ed economico della città venne travolto ed azzerato. La fine degli anni ‘90 registrerà una battuta d’arresto nelle indagini dovuta oltre che a difficoltà esterne anche a contrasti all’interno della stessa magistratura, ma qui Ardita parla per allusioni o per addetti ai lavori ed al pubblico non è dato sapere di più.
Traspare la sua amarezza per la poca gratificazione di tanti suoi colleghi nonostante l’ottimo lavoro svolto, poi un po’ oscuramente conclude affermando che oggi è senza dubbio molto più facile per un magistrato svolgere il suo lavoro.
Brevemente vengono fatti i nomi di potenti che, pur inquisiti, non cessano per questo di coltivare un sentimento di arrogante superiorità anche davanti la magistratura. Perché, come dice Fava, questo è un sistema che riesce a governare anche la propria impunità.
E come Giuseppe Fava, che più che parlare di mafia e di mafiosi scriveva piuttosto di potenti e di potere, anche il figlio Claudio parla di un potere deviato e talmente sicuro di sé da galleggiare impunemente su ogni evidenza di colpevolezza.
Nel corso del lungo pomeriggio viene toccato anche il tema dell’Antimafia, oramai diventata un brand, un biglietto da visita che tra celebrazioni e retorica si autolegittima.
Impossibile a questo punto non toccare il tasto della falsa antimafia, e su tutti il caso Montante, colui che sì ha millantato sé stesso, ma nondimeno è stato fabbricato dal potere e mosso come un burattino.
In questo discorso s’inserisce Ardita avvertendo che la falsa antimafia non deve mettere in ombra il problema principale che è quello di combattere piuttosto il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, la zona grigia in cui oramai si muovono sempre più affari.
Non si può a conclusione dell’incontro non fare un riferimento alle “sardine” che hanno riempito le piazze d’Italia e ultima quella di Palermo. Ma questi sussulti di civiltà e di vitalità non possono nascondere la realtà di un declino pesantissimo, di morte civile, aggiunge Caserta, che interessa non solo la nostra città, ma tutta la Sicilia e l’intero Sud Italia.
Niente di ciò che si è ascoltato ha contribuito ad accendere una fiammella di luce e di speranza: Catania agonizza, la Giustizia è pavida, la politica malata, i vizi antichi si ripetono, le occasioni di cambiamento che pure si sono avute sono state sprecate, il divario sociale si allarga, l’emigrazione giovanile aumenta.
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