No, non si tratta di mail, di sms o di messaggi whatsapp. Stavolta la comunicazione avviene tramite un epistolario, come si usava tanto tempo fa: si tratta di lettere, lettere vere e proprie.
Quelle, per intenderci, attraverso le quali potevamo sentire il profumo della carta, dell’inchiostro, e quello ancor più forte dei sentimenti.
Cosa singolare, inoltre, i due “comunicatori” sono un ergastolano e una volontaria che, lettera dopo lettera e attraverso proprio quelle missive, creano e costruiscono un rapporto di amicizia autentica.
Potrete leggere tutto sul libro, commovente ed emozionante, che ambedue hanno firmato e pubblicato per i tipi di “Ancora” dall’evocativo titolo “La luce della jnestra – Riflessi di umanità dal carcere””
Hanno lo stesso nome, Carmela Cosentino e Carmelo Guidotto. Da Karmel, un nome ebraico che significa giardino, frutteto. Due realtà fuse in Sicilia dove i giardini sono anche frutteti, aranceti e limoneti, che profumano di zagara.
Se avete in mente l’idea dell’ergastolano feroce e incolto, primitivo e insensibile, toglietevela dalla testa. Guidotto, forse lo é stato ma oggi non lo è più. E non perché nell’aprile del 2018 ha conseguito la laurea in Scienze politiche.
Ha seguito un tortuoso cammino, lungo più di vent’anni, fatto di libri/parole/concetti/idee/sguardi dentro se stesso e fuori, incoraggiato, guidato dagli interventi della sua amica ‘di penna’ che gli invia romanzi e agili saggi, lo introduce alla poesia, lo aiuta ad interrogarsi sul senso della scrittura.
Il tutto con delicatezza, senza mai strafare, e soprattutto senza stancarsi, con fedeltà.
“So tanto oggi di me stesso. Non mi conoscevo o non sono più quello di prima, l’unica certezza che non sono più il Melo di prima”.
Legge tanto, Carmelo, saccheggia la biblioteca del carcere, scorre i quotidiani, si immerge nei testi che riceve : “Mi piace leggere, solo leggendo si va fuori di qua e si vivono vite che aiutano a continuare a vivere”.
La sua amica lo esorta anche a scrivere qualcosa sui periodi più bui del suo passato, per esempio i mesi di latitanza. Guidotto resiste, temporeggia, quando si decide a fare i conti con questa parte di sé, non sappiamo cosa abbia scritto. Il riserbo della sua interlocutrice lo protegge.
E se racconta qualche episodio della sua fanciullezza, “salta” l’adolescenza, che dichiara di non aver vissuto, essendo divenuto “da fanciullo a uomo, o pseudo tale”. Sarebbe un “parlare di reati”, argomento su cui – pudore? rimozione? – non troviamo nelle pagine del libro una rielaborazione critica.
Quelli che invece emergono con frequenza sono, insieme a ricordi e sentimenti, i colori e profumi della nostra Sicilia, come quelli liberati dal vento che scuote i cespugli della “jnestra”.
“Quando finisco di scrivere…sento l’animo mio volteggiare sulle sciare coperte di fiori di ginestra”. “La libertà che mi dà la penna non l’avevo mai capita, oggi sì”.
Carmelo Guidotto, ergastolano, é già “evaso”. I libri e l’amicizia sono stati i grimaldelli che hanno aperto le porte del carcere e lo hanno portato all’esterno. E non c’é “fine pena mai” che possa adesso tenerlo dietro le sbarre.
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...bisognerebbe fare leggere al Ministro della Giustizia la descrizione che Carmelo Guidotto fa della traduzione in cellulare così come le pacate considerazioni sul "fine pena mai"
...per non parlare del ruolo del volontariato e dell'importanza della biblioteca che tanti anni fa ho sentito definire da un Direttore di carcere "del tutto inutile, tanto non vogliono leggere altro che riviste"
Grande Carmela.Grazie
Elvira Iovino