Non lo sanno o fanno finta di non sapere? I dirigenti dell’urbanistica, prima di approvare progetti di strutture commerciali in aree destinate a servizi pubblici, dovrebbero rinfrescare la memoria e trarre lezione da recenti casi analoghi, che dimostrano quello che si può e che si dovrebbe fare.
Eviterebbero così di arrampicarsi sugli specchi e di fare ‘urbanistica creativa’, come nel caso dell’Eurospin di Cibali, autorizzato a nascere in una zona in cui era prevista una scuola.
O come nel caso di Nizzeti, dove l’Amministrazione ritiene possibile l’approvazione di un progetto con il quale un’area destinata a verde pubblico ‘ospiterà’ villette, edifici residenziali e centri commerciali, oltre che una scuola e un centro servizi,
C’è, in particolare, nel recentissimo passato, un caso molto simile a quello di via Sabato Martelli Castaldi, e che può essere considerato abbastanza esemplare.
Siamo sotto la Circonvallazione, in via Palazzotto, e – nel maggio 2013 – viene avanzata una richiesta di concessione edilizia per realizzare una “media struttura di vendita alimentare e non” (stessa dicitura del caso Eurospin).
Con un provvedimento del 13 ottobre 2015 (n. 337858), l’Ufficio Urbanistica oppone un rifiuto. Qualunque opera si voglia realizzare in quell’area deve essere coerente con la sua destinazione urbanistica.
L’area ricade in zona L ed è destinata, dal vigente PRG, in parte a scuola media e in parte a verde pubblico. Quasi incredibile, anche qui, l’analogia con il caso di Cibali.
Davanti al diniego, i proprietari propongono ricorso al Tar: secondo loro il riferimento ai “servizi generali” presente all’art.21 delle NTA (norme tecniche di attuazione) rende possibile realizzare una struttura commerciale.
Il processo non si ferma e si arriva davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa (CGA) che il 16 gennaio del 2018 emette una sentenza che sostanzialmente conferma quella di primo grado.
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Con riferimento anche a precedenti pronunciamenti del Consiglio (dal 2010, al 2016) viene ribadito che, quando è prevista la realizzazione di opere destinate alla fruizione pubblica, “l’utilizzatore finale dell’opera non può che essere l’ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che semplicemente, non esiste” (v. C.G.A., n. 344/2015).
E questo riguarda il caso di “parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l’istruzione”, vale a dire tutto ciò che è destinato alla “collettività territoriale”.
Nella sentenza, come nel ricorso, viene spesso tirato in ballo il lungo tempo trascorso dalla approvazione del Piano regolatore, risalente al 1964, così come la scadenza dei vincoli da esso individuati.
Il vincolo scaduto, d’altra parte – scrivono i giudici – non fa altro che impedire, per altra via, il rilascio della concessione richiesta, confermando la correttezza del diniego.
Sebbene il ricorso venga respinto, il Consiglio evidenzia il dovere, da parte del Comune, di colmare il vuoto di pianificazione tornando a deliberare sulla destinazione dell’area.
Con il suo “prudente apprezzamento” l’amministrazione dovrà riclassificare l’area valutando se l’originale destinazione urbanistica non sia più attuale a causa dei cambiamenti intervenuti (calo demografico, invecchiamento della popolazione residente), e aggiornando il PRG “non già attraverso singoli interventi parziali in variante, come si è fatto sinora, ma attraverso una revisione d’insieme che restituisca una pianificazione al passo con i tempi nuovi”.
Nel frattempo, comunque, l’Amministrazione dovrebbe tenere presente che il suo compito istituzionale è quello di salvaguardare gli interessi della collettività respingendo le richieste che appaiono motivate da interessi speculativi privati.
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