Si tratta di un docu-film che ha come oggetto una riflessione cruda e spietata sulla memoria di un intero paese rispetto a due degli avvenimenti più sanguinosi del nostro tempo, le stragi di Capaci e via D’Amelio.
In occasione del 25° anniversario di queste stragi, Maresco accende le telecamere per interrogarsi sul significato di questa commemorazione, oggi, fra i siciliani.
In questa sua ricerca si avvale della collaborazione di Letizia Battaglia, fotografa palermitana oggi ottantenne, rinomata in tutto il mondo per i suoi scatti fotografici sulla mafia e grande amica personale dei due giudici. Una donna che il New York Times ha definito “una delle 11 donne che hanno segnato il nostro tempo“.
Alla fulva fotografa fa da contraltare Ciccio Mira, scalcinato organizzatore di feste rionali sempre ripreso in bianco e nero; l’una incarna la coscienza civile sincera e autentica, l’altro invece riflette la concezione ancestrale della mafia mai nominata perché “non esiste”.
Ciccio Mira, personaggio effettivamente esistente, con precedenti giudiziari e vari dissesti economici, non ha perso il suo indomito entusiasmo per l’organizzazione di eventi di qualsiasi tipo “legali e non legali”.
Pertanto con l’aiuto dello sponsor Matteo Mannino, un analfabeta con un evidente deficit intellettivo, si accinge ad organizzare lo spettacolo “Neomelodici per Falcone e Borsellino” nel quartiere degradato dello Zen 2 di Palermo.
Ecco che il regista intervista, nei quartieri più popolari di Palermo, giovani e meno giovani chiedendo se andranno alla commemorazione dei due eroi dell’antimafia. Ma le risposte che riceve sono di disinteresse se non di totale rifiuto, nessuno è intenzionato a recarsi alla commemorazione.
“Ma te le vai a cercare con il lanternino!” obietta Letizia quasi incredula che si amareggia al cospetto della ritualità con cui ogni anno, a Palermo, Falcone e Borsellino vengono ricordati dai politici, che “vengono e poi se ne tornano a Roma…”
Nel frattempo arrivano a Palermo da tutta Italia, con la nave della legalità, centinaia di ragazzi che si riversano sulle strade del capoluogo siciliano con slogan, canti, balli come fossero ad una sagra paesana. “Forse ho vissuto troppo, commenta tristemente Letizia, per dover vedere tutto ciò”!
Ma la telecamera ritorna su Ciccio Mira che nel quartiere dello Zen fa un sopralluogo per preparare l’evento avvalendosi di artisti improbabili quanto stonati come il giovane neomelodico Cristian Miscel (con evidenti disturbi psichici) che secondo Mira ha però tante “carenze musicali”!
Allo sponsor che lo affianca Mira deve preparare il discorso di presentazione alla gente dello Zen che non riesce mai a dire “Abbasso la mafia”, come del resto lo stesso Mira e tutti gli artisti che si devono esibire sul palcoscenico.
Nel film viene pure ricordata dal regista la sentenza recente sulla trattativa stato-mafia di cui nessuno parla, neanche il presidente Mattarella, perchè – come dice Mira – “il silenzio è nel DNA dei palermitani”.
I personaggi che popolano questo film sono senz’altro grotteschi e non si capisce fino a che punto siano la caricatura di se stessi.
Per comprendere quale sia lo scopo di questo film e a chi si rivolge, può essere utile riportare le parole del regista in una recente intervista rilasciata a Repubblica: “Io dico che il film ha una verità sua, e poco importa, a cose fatte, se una cosa è stata “incoraggiata” o si è presentata spontaneamente. La cosa paradossale è che le scene “documentarie” sono in realtà quelle a cui è più difficile credere. In fondo ‘La mafia non è più quella di una volta’ parla proprio di questo. Io ho cercato disperatamente di dare una rappresentazione non tanto della mafia (altri lo fanno meglio), ma della trasformazione ineluttabile di un mondo, dell’imbecillità e cattiveria umane (io sono convinto che “i più sono malvagi”, come era scritto su un tempio dell’antica Grecia).
Ciccio Mira è una scheggia impazzita perché cerca maldestramente e infelicemente qualcosa che è la negazione di se stesso: i neomelodici per Falcone e Borsellino. Qualcosa che sperimentiamo tutti i giorni nei reality, nei talk show, nella politica. Ho cercato di rappresentare la tragedia della mancanza di senso. E il solo strumento che avevo era il comico, il grottesco. Se poi uno mi chiede: a che serve? Dico: A niente.”
Nella scena finale vengono ripresi in successione: Mira sul palcoscenico dove alcuni artisti cantano l’inno di Mameli al cospetto di un solo spettatore e Letizia, che saluta il regista che l’ha seguita per tutto il percorso del film. Con la mano indica una V, segno di vittoria o speranza di riscatto?
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Questo film di Maresco mi sembra il meno pessimista tra i suoi proprio per la presenza di Letizia Battaglia. La fotografa è contrappunto al cinismo dell'autore ma ne condivide lo sguardo sul reale e su certa antimafia. Vabbè per me è amore!