Tentare di capire non solo la follia del nazifascismo ma in genere la vocazione totalitaria del potere che utilizza, nel mondo moderno, anche lo sviluppo vertiginoso della tecnica.
Questa la riflessione condotta, dopo l’esperienza del lager, da Primo Levi per tutto il restante periodo della sua vita.
Ce lo ricorda oggi, nel centenario della nascita del grande scrittore, Salvatore Distefano, presidente dell’Associazione etnea studi storico-filosofici.
Nato a Torino il 31 luglio 1919, Primo Levi, ha lasciato un segno indelebile nella storia culturale del nostro Paese.
Dopo aver frequentato il prestigioso liceo ‘D’Azeglio’, dove per qualche tempo ebbe come professore di Italiano Cesare Pavese, si laureò in Chimica nel 1941 con pieni voti e lode. Nel suo diploma vi era la menzione “di razza ebraica”.
Unitosi, dopo l’8 settembre del ’43, ad un gruppo partigiano operante in Val d’Aosta, nel dicembre dello stesso anno venne arrestato e avviato nel campo di concentramento di Carpi-Fossoli.
Quando, nel febbraio del 1944 il campo di Fossoli venne preso in gestione dai tedeschi, Levi ed altri prigionieri, tra cui vecchi, donne e bambini, vennero caricati su un convoglio ferroviario con destinazione Auschwitz.
Scrive Levi “Per mia fortuna sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli”.
Poté vedere e sperimentare, così, la gigantesca “macchina della morte” e osserverà, misurandoli, i gradi dell’abiezione cui quella macchina aveva ridotto gli uomini, nonché l’esistenza di una “zona grigia” e la possibilità per alcuni di rivelare una insospettabile grandezza morale.
Dopo il Lager Levi non cesserà di tentare di capire – e su questo si interrogherà per tutta la vita – la follia del nazifascismo, non solo come episodio circoscritto e concluso, della storia moderna, ma anche come risultato, nel mondo contemporaneo, della vocazione totalitaria del potere che utilizza lo sviluppo vertiginoso della tecnica.
Il suo monito, “Meditate che questo è stato […]”, è ancora attuale e può servire per comprendere la realtà nella quale viviamo.
Purtroppo, oggi si tende a liquidare il passato, ad annullare la memoria storica, che rappresenta invece un valore soprattutto quando è rielaborazione e ricerca della verità, quando cerca risposte ad interrogativi.
In questo caso, infatti, la cronaca e il ricordo diventano Storia e permettono di trasferire alle nuove generazioni il valore dell’uguaglianza, della libertà e della giustizia sociale.
Proprio per questo, è importante che nei prossimi mesi si sviluppi nelle scuole e nei luoghi di aggregazione giovanile un’opera di sensibilizzazione per far conoscere meglio la vita e l’opera di Primo Levi.